Ieri gli uomini del Nucleo investigativo dei Carabinieri sono entrati negli uffici dei colleghi del Noe per perquisire le stanze del vicecomandante di quel reparto, colonnello Alessandro Sessa, e del maggiore Gianpaolo Scafarto: entrambi hanno lavorato con la Procura di Napoli all’inchiesta Consip nella prima fase in cui fu intercettato Tiziano Renzi. Cercavano documenti, agende, pc e cellulari che siano la prova del depistaggio sospettato dalla Procura di Roma. Un reato contestato ai due ufficiali dopo che Sessa, aiutato da Scafarto, ha disinstallato dal proprio smartphone l’applicazione Whatsapp, cancellando i messaggi. Il tutto, secondo i pm, per “sviare l’indagine relativa all’accertamento degli autori (…) della violazione del segreto a favore dei vertici della società pubblica”, ossia su chi avvisò gli ex vertici Consip delle indagini napoletane.
Così per i due ufficiali è stata emessa la misura interdittiva della sospensione per un anno: per il gip Gaspare Sturzo, proprio per la loro presenza nell’Arma vi è il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. Domani ci saranno gli interrogatori davanti al gip. Sono state perquisite anche le abitazioni e le auto e sequestrati i cellulari.
Già il 10 maggio scorso era stato preso il telefonino di Scafarto. È possibile che ciò, scrive il gip, “abbia fatto scattare la necessità da parte di Sessa di cancellare i messaggi tra sé e Scafarto e poi, saputo che la messaggeria Whatsapp viene trattenuta in memoria remota, procedere alla eliminazione della vecchia applicazione”. Tra le prove dei pm ci sono le dichiarazioni di alcuni colleghi degli indagati che raccontano di aver visto Scafarto modificare alcune impostazioni sul cellulare di Sessa. Che avesse cancellato i messaggi con il maggiore “senza alcun particolare accorgimento”, però lo racconta lo stesso vicecomandante ai pm il 27 aprile, aggiungendo di non ricordare chi avesse “modificato l’impostazione del telefonino”.
Ma quando sono stati interrogati, a Sessa e a Scafarto sono state fatte domande molto più importanti e cioè chi dei loro superiori fosse stato informato dell’indagine Consip. Questo per ricostruire la fuga di notizie. “Mentre inizialmente Scafarto e Sessa – riporta la richiesta di interdittiva dei pm romani – avevano dichiarato, in sostanza, di non aver informato delle indagini (…) nessuno dei loro superiori”, poi è lo stesso Sessa a dire di averne, seppur genericamente, parlato con il capo di Stato maggiore dell’Arma, Gaetano Maruccia. Quest’ultimo sentito come persona informata sui fatti “ha confermato la circostanza – scrive il gip – aggiungendo di non averne informato il comandante generale”, ossia Tullio Del Sette, poi indagato a Roma per rivelazione di segreto d’ufficio a favore degli ex vertici Consip. Con lui sono stati iscritti anche il ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia. Al Fatto risulta che Maruccia ai pm ha riferito di aver parlato, ma solo genericamente e senza alcun dettaglio, con Del Sette dell’indagine Consip quando andò a chiedere un aumento di organico.
Nel caso di Scafarto, oltre il depistaggio, viene contestata anche la rivelazione di segreto (verso uomini dell’Aise, il servizio segreto), e alcuni falsi finiti in un’informativa del 9 gennaio scorso. Per i pm viene falsificata la presenza di 007 anche attraverso l’erronea identificazione del generale Ferragina, definita dal Gip “pura invenzione attribuibile a Scafarto”. C’è poi la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”, attribuita all’imprenditore Romeo: era stata pronunciata dall’ex parlamentare Italo Bocchino. Un falso “frutto di una deliberata decisione”.
Oltre quella ai vertici della Consip, c’è un’altra fuga di notizie sulla quale indagano i pm. È la “rivelazione – scrive il gip -, fra il 5 e il 7 dicembre 2016, dell’inizio dell’attività di intercettazione telefonica di Tiziano Renzi”, indagato per traffico di influenze. Parlando delle intercettazioni del padre dell’ex premier, scrive il gip, “questo dato operativo si collega alla telefonata tra Roberto Bargilli (autista del camper di Matteo Renzi ai tempi delle primarie, ndr) (…) e Carlo Russo”. Bargilli il 7 dicembre 2016 chiama Russo e dice: “Ti telefonavo… per conto di babbo… mi ha detto di dirti di non lo chiamare e non mandargli messaggi”. Si riferiva alle intercettazioni? Se così fosse, come era arrivata la notizia a Tiziano Renzi?