Il presidente francese Emmanuel Macron trascorre la vigilia di Natale in Niger, insieme a centinaia di militari francesi impegnati in un’operazione contro gli jihadisti nel Sahel. Accolto a Niamey dal presidente nigerino Mahamadou Issoufou, Macron ha poi raggiunto la base di Barkhane, dove sono di stanza 500 uomini, caccia Mirage 2000, aerei da trasporto e droni. La Francia ha attualmente in Africa circa 4.000 militari tra Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania.
Fra un anno, potrebbe toccare al presidente Mattarella o al futuro presidente del Consiglio italiano passare la vigilia di Natale in Niger. Perché c’è un accordo tra Italia e Francia per l’invio laggiù d’una missione militare con compiti d’addestramento delle forze anti-terrorismo congiunte del G5 Sahel. L’Italia sta approfittando dell’arretramento del sedicente Stato islamico per alleggerire l’impegno in Iraq, recuperando lì circa 470 uomini da mandare in Africa.
Smentita per mesi dal ministero della Difesa, la missione ‘Deserto rosso’, o altro nome in codice, dunque si farà. Prima dell’estate, la Difesa negava “ipotesi operative al riguardo”: “Simulazione e pianificazione di azioni del genere rientrano nella normale attività addestrativa degli Stati Maggiori e riguardano le principali aree di crisi”.
Ma, a margine del Vertice del G5 Sahel di La Celle-Saint-Cloud, vicino a Parigi, Paolo Gentiloni faceva, il 13 dicembre, un annuncio un po’ sibillino: l’impegno italiano in Sahel “sarà collegato all’andamento di diverse campagne militari internazionali”, come quella in Iraq, dove ci sono “circa 1000 militari italiani” e dove “una parte di queste forze potrebbero non essere più indispensabili”.
Tra l’impegno preso con il presidente Macron – Francia e Italia avevano reciprocamente qualcosa da farsi perdonare – e il suo rispetto, c’è di mezzo un voto del Parlamento, che deve approvare e soprattutto finanziare le missioni militari all’estero. Giustificando l’operazione in Niger, Gentiloni ne sottolineava “l’interesse specifico anche per quanto riguarda i flussi migratori dalla Libia”: un interesse riconosciuto dall’Unione europea, che ha da poco concluso un accordo con Niamey.
Il Niger, che il ministro degli Esteri Angelino Alfano considera “nostro alleato strategico”, non è un Paese tranquillo. Il 20 ottobre, almeno 13 militari nigerini sono rimasti uccisi in un attacco lanciato da un gruppo armato non identificato ad Ayorou, vicino al confine con il Mali.
Il 10 ottobre, 5 soldati statunitensi erano caduti nell’agguato d’un commando di jihadisti, sempre al confine con il Mali – negli Usa, ci furono polemiche perché pochi sapevano dell’impegno militare e perché emersero lacune nell’intelligence. Il Niger è terreno d’azione di gruppi affiliati ad al Qaeda e di formazioni che si richiamano all’Isis.
Secondo Jean-Pierre Darnis, responsabile del programma di ricerca Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali, la decisione d’impegnarsi in Niger conta “per la presenza dell’Italia al tavolo della riforma e del rilancio della politica europea di difesa e sicurezza”. Francia e Germania sono molto attive su quel fronte e l’Italia vuole stare nel nocciolo duro della riforma appena avviata lanciando una cooperazione rinforzata fra 25 Paesi Ue.
L’Italia, in Africa, aveva da tempo una posizione di forte divergenza strategica con la Francia: dall’intervento francese in Libia nel 2011 al mancato sostegno italiano all’azione francese in Mali nel 2013, c’era freddezza, se non ostilità, fra Parigi e Roma, sul fronte nord-africano-sahariano. Dopo l’attentato al Bataclan del 2015, Parigi aveva chiesto aiuto ai Paesi Ue per potere richiamare soldati dalle missioni in Africa e rinforzare il dispositivo anti-terrorismo sul territorio nazionale. L’Italia aveva risposto picche perché già impegnata in Iraq.
In estate, Macron aveva convocato i leader libici rivali Haftar e al-Serraj, suscitando l’irritazione dell’Italia, che si sentiva ‘titolare’ del dossier Libia. Per Darnis, “la missione in Niger” può saldare “l’interesse nazionale essenzialmente rivolto alla Libia” e “la visione francese, tedesca e americana di stabilizzazione dell’intera zona saheliana, legando lotta al terrorismo, stabilità delle frontiere, contrasto all’emigrazione clandestina e sviluppo locale”.