Già ai suoi primi vagiti, la campagna elettorale ci provoca moti di sconforto. Arrivare al 4 marzo sarà un’impresa titanica. Ieri tutti i maggiori quotidiani si occupavano dei presunti “assi nella manica” dei partiti in vista delle elezioni. Tutti hanno in comune una cosa, da destra a sinistra, passando per i 5Stelle: provengono dalla cosiddetta società civile (talvolta incivile). Il Corriere della Sera mette in fila i giornalisti Clemente Mimun, Alessandro Sallusti e Federica Angeli da Ostia, fino all’ex allenatore dell’Italvolley Mauro Berruti e all’ex amministratore delegato del Milan Adriano Galliani, passando per Beppe Vacca dell’Istituto Gramsci e il medico dei migranti di Lampedusa, Pietro Bartolo. I partiti li lasciamo indovinare a voi.
Repubblica, che si occupa solo del Pd, cita invece Lucia Annibali, Paolo Siani (pediatra, fratello di Giancarlo, giornalista assassinato dalla camorra nel 1985) e il direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori. Con gioia, sempre ieri, abbiamo appreso che Al Bano Carrisi ha smentito un abboccamento con Forza Italia. Peraltro, ha spiegato in un’intervista al Corriere, lui è “putiniano” e quindi non c’è trippa per gatti, al massimo gli interessa la Duma.
Come avrete notato, sembra un po’ il casting del Grande Fratello Vip (dove è noto, i vip scarseggiano mentre abbondano parenti e affini di vip fino al decimo grado). La cosa sconsolante è che qui si tratterà di fare leggi che incidono sulla nostra vita, non trasmissioni trash da cui ci si può salvare con il telecomando. Più seriamente, il problema non è circoscritto ai pochi nomi della società civile scelti dai partiti, “figure esterne” o figurine che siano. Da tempo ci lamentiamo della classe dirigente, sulla base di un semplice assunto: un Paese prospera o decade in base alla qualità della classe dirigente di cui dispone. È un tema fondamentale, eppure i politici sembrano non occuparsene o, se lo fanno, i risultati sono disastrosi.
Il più recente esempio è la rivoluzione renziana passata alla storia con il nome di “rottamazione”: un clamoroso bluff. Non si trattava affatto di un ricambio generazionale – di cui peraltro, ci sarebbe stato bisogno – a cui sottendeva una nuova visione della società, era più banalmente la presa del Palazzo d’inverno. A chi avesse dubbi su quest’ultima affermazione, consigliamo di riflettere sulla mediocrità dei dirigenti di cui si è circondato Renzi, quasi tutti privi di cultura politica. Una qualità di cui la mera “gestione del potere per il potere” non ha bisogno. Anzi. Come ha notato Gustavo Zagrebelsky, così “la politica si riduce alla gestione dei problemi del giorno per giorno, a fini di autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri”. Per questo non serve grande cultura politica: anzi, meno ce n’è, meglio è. E dire che abbiamo avuto esempi fulgidi.
Se chiedevi a Stefano Rodotà, quale era stato il suo impatto con la Camera, ti rispondeva: “Ci ho messo quasi un anno a capire dove stavo: c’era un’altissima professionalità parlamentare, non si improvvisava. Si studiava, non si andava a orecchio: bisognava stare al passo”. Forse dovrebbero tenerlo a mente i 5Stelle: i professionisti della politica si possono anche declinare come esperti, non solo come aficionados delle poltrone.
Morale della favola: non sappiamo dire quale fondamentale apporto abbia conferito alla legislatura che si è appena conclusa Valentina Vezzali, sportiva fulminata sulla poco frequentata via di Scelta civica. Detto questo, non sapremmo dirlo nemmeno di Alessia Morani, che ha alle spalle una formazione più ortodossa. Forse dovremmo domandarci perché la politica non attrae più i migliori.