Caro diario, domenica sera, Non è l’Arena di Massimo Giletti ci ha raccontato di come sia possibile che in Italia il barbiere di Montecitorio guadagni quanto il capo dello Stato o giù di lì. E di come i deputati dell’Assemblea regionale siciliana prendano un mucchio di quattrini per affacciarsi ogni tanto in aula (magari per aumentarsi gli emolumenti). È stato allora che ho deciso di votare per i 5Stelle, gli unici che si battono contro la casta dei vitalizi e dei parassiti.
Caro Diario, lunedì sera a Presa Diretta, Riccardo Iacona, con bici e caschetto regolamentare, ci ha raccontato di come sia possibile che nella Roma della sindaca Raggi le piste ciclabili siano scarse, non collegate, sparse casualmente qua e là, spesso impraticabili e invase dai rifiuti (il nuovo skyline della Capitale), tanto che soltanto l’1% dei cittadini dell’Urbe fa uso delle due ruote per gli spostamenti. È stato allora che ho deciso di ritirare il mio voto ai Cinque Stelle. Ammetto di essere un elettore volubile e di non avere le idee molto chiare, ma penso che la rappresentazione della realtà che ci circonda è più forte e convincente di qualsiasi comizio televisivo.
Mi chiedo perciò che senso abbia tutto quel trafficare della Vigilanza radiotelevisiva per garantire agli “artisti non giornalisti” Fabio Fazio e Bruno Vespa il diritto di ospitare i politici fino al voto. Quando ormai è accertato che apparendo in luoghi come Che tempo che fa o Porta a Porta i voti non si guadagnano ma si perdono. Prendiamo Paolo Gentiloni, la cui assenza dagli schermi televisivi aveva contribuito alla costruzione di un mito. Di lui si narrava che appartato dal mondo fosse un anacoreta dedito alla contemplazione, alla penitenza, alla preghiera e si cibasse di bacche. Un santo, un apostolo. Però è bastato che Fazio lo sottoponesse al suo implacabile trattamento e Gentiloni è tornato tra noi, come un Alfano qualsiasi.
Sì, caro diario, la campagna elettorale sono le nostre pene quotidiane: essa è fatta della stessa sostanza dei problemi irrisolti con cui ci scontriamo ogni giorno. Così per forza il nostro convincimento si nutre di risentimenti e rafforza ogni giorno di più lo snaturamento del voto espresso non “a favore” di qualcosa, che non sapremmo dire cosa, ma “contro” qualcuno che soprattutto ci sta sulle scatole. Tutto il resto è banale intrattenimento.
Ci piace per esempio osservare i nostri cari leader che si umiliano promettendoci questo e quell’altro come venditori di pacchi nelle fiere paesane. Scrutarli. Nell’intervallo tra un Salvini e un Di Maio c’interroghiamo sul mistero Vittorio Sgarbi. Corteggiatissimo dai talk show speranzosi che con una delle sue sclerate omeriche sistemi l’ascolto. Prestazioni a cui, generoso d’animo, egli volentieri si presta salvo poi essere ipocritamente redarguito. L’altra sera in studio da Giletti aveva il ghigno di un dobermann pronto per qualche giugulare. Infatti era tutto un ammansirlo con espressioni carezzevoli: “Come giustamente ha detto Vittorio”. Ci sarà da divertirsi.
Ps. Ho visto a Otto e mezzo Matteo Renzi. Ho deciso, voterò per Paolo Mieli.