Più volte nel regolamento sulla par condicio (pari spazio ai candidati) per le televisioni private, l’Autorità di Garanzia per le Comunicazioni premette: “Fermo il rispetto della libertà editoriale di ciascuna testata”. Ma poi l’Agcom si spinge oltre, fra l’ingerenza e il surreale, e prescrive agli editori – e dunque ai telespettatori – una campagna elettorale artefatta e impone ai giornalisti una sorta di dichiarazione di voto. In un colpo solo, l’Autorità strapazza la Costituzione (articolo 48), commissaria l’Ordine dei giornalisti e, soprattutto, esaudisce un desiderio di Matteo Renzi che non fu soddisfatto durante la propaganda del referendum: gli opinionisti vanno etichettati e arginati con un contraddittorio. Ora la vicenda è più complessa di un “sì” o un “no” alla riforma della Carta. Pazienza per il ritardo, l’Agcom dà un segnale al renzismo. Pare su proposta di Antonio Nicita.
Per partecipare ai dibattiti con i candidati, secondo l’Autorità, i giornalisti sono tenuti a rivelare le “sensibilità culturali” (parole usate con ipocrisia per non dire “preferenze politiche”) così la redazione del programma può reclutare un giornalista con “sensibilità opposte”.
Chi prepara le trasmissioni deve considerare “non solo le presenze e le posizioni di candidati, di esponenti politici o comunque di persone chiaramente riconducibili ai partiti e alle liste concorrenti, ma anche le posizioni di contenuto politico espresse da soggetti e persone non direttamente partecipanti alla competizione elettorale”. Per essere più espliciti: “È indispensabile garantire, laddove il format – si legge all’articolo 7 della delibera approvata mercoledì – della trasmissione preveda l’intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo, ma anche del contraddittorio, della completezza e dell’oggettività dell’informazione”.
I partiti in Vigilanza hanno fallito lì dove ha trionfato l’Autorità: la norma contro i giornalisti, infatti, l’hanno inserita i commissari guidati da Angelo Marcello Cardani, i politici neanche l’hanno menzionata nel documento sulla par condicio che ha salvato gli artisti Fabio Fazio e Bruno Vespa e che riguarda la Rai. Adesso la Vigilanza si adeguerà?
Non è finita. Per ingarbugliare ancora di più il lavoro degli autori e condizionare le scalette dei programmi, l’Agcom introduce la “parità di genere”, stesso numero di presenze – da qui alle urne del 4 marzo – per donne e uomini.
Più limiti, più controlli, più rischio di multe per le aziende: “L’Autorità verifica, alle medesime scadenze indicate (ogni settimana, ndr), il rispetto dei principi a tutela del pluralismo e, in particolare, della parità di trattamento tra soggetti politici e dell’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche nei programmi di approfondimento informativo diffusi da ciascuna testata, tenuto conto del format e della periodicità di ciascun programma e anche dell’argomento trattato. Il direttore di testata assicura comunque l’alternanza e la parità, anche di genere, tra i diversi soggetti politici in competizione, in modo da garantire tra l’altro una partecipazione equa, bilanciata e pluralistica nell’intero periodo elettorale, e dà previa comunicazione all’Autorità del calendario degli ospiti”. Con la scusa della par condicio, i palinsesti, gli argomenti e persino i giornalisti da coinvolgere nei programmi li sceglie l’Autorità. A ogni pensiero dovrà seguirne uno contrario. Finché il telespettatore non si annoia e cambia canale.