“Si sapeva tutto”, “È tutto archiviato”. Se Renzi, De Benedetti & C. pensano di chiudere con queste due frasi lo scandalo della soffiata dell’allora premier all’Ingegnere sul decreto banche popolari che fece guadagnare al secondo 600 mila euro in un giorno, si illudono. Intanto perché la prima frase è una bugia: il 15 gennaio 2015, quando De Benedetti e Renzi si incontrano, del decreto nessuno sa nulla: a parte ovviamente chi ha appena deciso di vararlo (Renzi) e chi ha appena parlato con lui (De Benedetti). L’indomani mattina l’Ingegnere gira la soffiata al suo broker Gianluca Bolengo ordinandogli di investire 5 milioni in azioni di banche popolari: appena in tempo, perché alle 17.58 di quella sera, a Borse chiuse, l’Ansa annuncia che il prossimo Consiglio dei ministri (che si terrà il giorno 20) riformerà le Popolari.
Non è vero, come dicono Renzi e De Benedetti, che del decreto avessero già parlato i giornali e addirittura che l’Ubs avesse tenuto una conferenza stampa per suggerire investimenti nelle Popolari (l’Ubs l’ha smentito). La riforma fu un fulmine a ciel sereno per tutti (fuorché per l’Ingegnere): il 17 gennaio la Repubblica la definì un “blitz di Renzi nel mondo del credito… un blitz, se sarà così, custodito molto gelosamente (con tutti, tranne che con De Benedetti, ndr) tanto che nelle bozze del provvedimento circolate finora non ve n’è traccia”. E non parlò di decreto, ritenendo ancora possibile il disegno di legge.
Ma anche la seconda frase “È tutto archiviato” è una menzogna. Nel gennaio 2015 la Consob apre un’istruttoria, acquisisce la telefonata De Benedetti-Bolengo e sente alcuni testimoni: alla fine, il 12.4.2017, con voto a maggioranza e astensione del presidente Vegas, archivierà la pratica che riguarda solo gli aspetti amministrativi della vicenda. Ma non ha competenze su quelli penali, infatti li segnala subito alla Procura di Roma, indicando precisamente i possibili reati e autori. Per motivi misteriosi, al premier Renzi, cioè al titolare delle informazioni privilegiate, Consob non contesta nulla. A De Benedetti addebita il reato di insider trading primario “per avere comunicato a Bolengo una informazione privilegiata” proveniente dall’altro insider primario (Renzi). A De Benedetti e a Bolengo, l’illecito amministrativo di insider trading secondario per aver “disposto che fossero acquistate azioni di banche popolari basandosi su detta informazione privilegiata”. E al solo Bolengo varie condotte penali di ostacolo alla Vigilanza (la Consob), per aver omesso di avvisarla e averle nascosto il nome di De Benedetti. Che fa la Procura?
Scrive l’informativa Consob, che segnala precisi reati in capo a De Benedetti e Bolengo, nel “modello 45”, quello degli “atti non costituenti notizia di reato”, cioè il cassonetto dove le Procure scaricano tutte le denunce infondate e folli. Ma questo pare espressamente vietato dal Codice di procedura penale e da una circolare esplicativa emanata dal ministero della Giustizia il 21.4.2011 e recepita da tutti i Procuratori generali. La circolare vuole stroncare l’uso scorretto che fanno molti pm del modello 45 (infilandoci notizie di reato scomode per lasciarle dormire fino alla prescrizione o per archiviarle in via amministrativa senza passare dal gip) e “assicurare correttamente il vaglio giurisdizionale sulla valutazione della notitia criminis”, che sempre “deve essere rimessa al giudice” e non “eluso” con l’“impropria archiviazione diretta degli atti” da parte del pm nel modello 45. Quindi, recita la circolare, il modello 45 è “destinato dal legislatore all’iscrizione delle sole notizie prive… di qualsiasi rilevanza penale e non meritevoli di alcun approfondimento investigativo, poiché attinenti a fatti che, seppure rispondenti al vero, non siano riconducibili in astratto ad alcun illecito penale (ad esempio l’esposto di un automobilista che si dolga del verbale di infrazione al codice della strada contestatogli dal vigile urbano); e non anche alle notizie che descrivono condotte sussumibili sotto fattispecie criminose, anche quando appaiono prima facie palesemente infondate nel merito (proseguendo nell’esempio, l’esposto dell’automobilista che, sia pure pretestuosamente, contesti il verbale di infrazione del vigile, assumendo che sia stato commesso un falso o un abuso)”.
In questo secondo caso, cioè quando un cittadino fa una denuncia circostanziata su un’ipotesi di reato di Tizio, anche se appare palesemente infondata, il pm deve iscrivere Tizio nel registro delle notizie di reato (“modello 21”) e chiederne poi l’archiviazione al giudice. Questo vale a maggior ragione se il pm, pur sospettando che tutto finirà archiviato, ritiene di dover compiere degli atti di indagine: in questo caso, anche se ha iscritto il fatto a modello 45, deve procedere a “una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato” (modello 21). Insomma “è evidente che non si possa iscrivere nel registro degli atti non costituenti reato (modello 45) un’informativa con la quale viene riferito un fatto che integra inequivocabilmente un reato”. E figurarsi se si può farlo quando a segnalare sei reati è la Consob; e quando si compiono atti di indagine, come fa la Procura di Roma sul caso Renzi-De Benedetti. Lì, pur non delegando indagini al nucleo valutario della Gdf che già lavorava per la Consob, il pm ha comunque fatto qualche pallida indagine, disponendo una consulenza tecnica e interrogando Renzi, De Benedetti e Bolengo. In questo caso, par di capire dalla circolare ministeriale, la via maestra sarebbe stata l’iscrizione dei tre nel registro degli indagati (modello 21) per insider trading e/o ostacolo alla vigilanza.
Il Testo Unico della Finanza del 1998 sull’insider trading (in parte depenalizzato nel 2004 per la parte degli insider secondari) pare chiaro: commette quel reato “chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, con strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio…”.
Parole che sembrano cucite addosso sia a Renzi (possiede informazioni privilegiate sul suo decreto in ragione della sua funzione pubblica: l’insider primario, anzi l’insider premier), sia a De Benedetti e a Bolengo (l’uno, insider primario anche lui, fa acquistare all’altro, insider secondario, le azioni delle Popolari per conto proprio, utilizzando le informazioni medesime). Il che non significa che, una volta indagati, i tre dovessero per forza essere rinviati a giudizio e condannati: avrebbe anche potuto emergere che tutti e tre, o alcuni dei tre, fossero innocenti. Ma a deciderlo, per tutti, sarebbe stato il gip con un provvedimento motivato, nella massima trasparenza.
Invece il pm di Roma indaga a modello 21 Bolengo, cioè il terzo anello della catena. Ma non i primi due, cioè Renzi (l’insider di De Benedetti, secondo lo stesso De Benedetti) e De Benedetti (il mandante di Bolengo), che vengono sentiti come semplici testimoni. Poi la Procura chiede l’archiviazione per Bolengo al gip, che da due anni non ha ancora deciso se disporla o respingerla, mentre non potrà pronunciarsi su Renzi e De Benedetti, ormai al sicuro nel cassonetto del modello 45.
Tutto ciò viene alla luce mentre il pm di Napoli Henry John Woodcock viene trascinato dinanzi al Csm per rispondere di “inescusabile negligenza” e “grave violazione del diritto di difesa” per aver fatto la stessa cosa della Procura di Roma, ma nell’inchiesta Consip, dove non iscrisse nel registro degli indagati Filippo Vannoni e lo sentì come testimone. Mentre la Procura di Roma che ha così bene indagato sull’insider trading apre un’inchiesta sulla fuga di notizie sulla sua richiesta di archiviazione dalla Commissione parlamentare banche. E mentre l’Anticorruzione apre un’istruttoria su Spelacchio. Giustizia è fatta.