La chiamata al 118 arriva alle 16:50. Pochi minuti prima, vale a dire alle 16:36 l’incidente. L’allarme non suona. Qualcuno però grida aiuto. Urla di mettere le maschere antigas. Ancora non si comprende bene. Si capisce che qualcosa di grave sta succedendo. Si scatena il panico. I lavoratori escono dai reparti. Nella tarda serata di ieri, la conta, però, risulterà drammatica: tre operai morti e uno in condizioni gravissime. Due di loro lavoravano da anni per la Lamina Spa, ditta di Milano che tratta l’alluminio. Sta in via Rho al civico 9 nel quartiere popolare di Greco. Azienda a conduzione familiare diretta dall’ingegner Roberto Sanmarchi. Una trentina i lavoratori e un’attività iniziata nel 1949. Le vittime sono Marco Santamaria elettricista classe 1975, Arrigo Barbieri di 57 anni e Giuseppe Setzu del ’69, operaio semplice addetto al magazzino. Tutti, inizialmente, ricoverati in codice rosso. Con loro Giancarlo Barbieri 60 anni fratello di Arrigo che ancora lotta tra la vita e la morte. Ricoverati in codice giallo altri due operai: Giampiero Costantino classe ’83 e Alfonso Giocondo di 47 anni. Lievemente intossicato un vigile del fuoco.
Dei morti due, Barbieri e Setzu, erano assunti, mentre il terzo, Santamaria, lavorava per una ditta esterna. L’inchiesta è affidata al procuratore aggiunto Tiziana Siciliana che uscita dopo il sopralluogo non ha voluto sbilanciarsi. L’incidente è avvenuto all’interno della vasca dove viene riscaldato l’alluminio che poi deve essere lavorato e tagliato. Si tratta di un spazio interrato con un’area di circa 4 metri e profonda 2. Qui viene fatta scendere una grossa campana che riscalda le bobine (larghe circa 30 centimetri) raggiungendo oltre 900 gradi. Al momento dell’incidente il forno era spento e la campana sollevata. È da escludere che gli operai fossero impegnati in operazioni di pulizia, tanto più che per questo tipo di lavorazioni non vengono usati materiali tossici, ma solo una miscela di metano e azoto per riscaldare le campane, la cui fuoriuscita avrebbe provocato l’incidente. I primi rilievi, infatti, non hanno trovato tracce di monossido di carbonio. Poco prima dell’incidente all’interno della vasca c’erano Marco Santamaria e Arrigo Barbieri, un elettricista e il direttore di reparto. L’ipotesi, che naturalmente dovrà essere confermata dall’inchiesta, è che i due stessero ispezionando la struttura oppure riparando un guasto. Certo è che la fuoriuscita della miscela di gas (evidentemente improvvisa e inaspettata) non è stata segnalata dagli allarmi che pure ci sono e che funzionano alla perfezione tanto che solo una settimana fa in ditta è stata fatta un prova per la sicurezza. In quel momento forse erano stati disattivati. “L’ingegnere – racconta Pasquale anche lui operaio – è molto attento alla sicurezza, se solo ci vede senza casco o a giocherellare con il cellulare ci manda le lettere”. Multe salate e che il titolare devolveva in beneficenza.
Insomma con queste premesse, difficile capire subito cosa sia successo. Questa, allo stato, la ricostruzione della dinamica: nel momento in cui si crea la fuoriuscita di gas nella vasca ci sono Arrigo e Marco che moriranno poche ore dopo, il primo al San Gerardo di Monza, il secondo al San Raffaele. “Noi – racconta un operaio del reparto cesoie – abbiamo sentito Giancarlo urlare, ci siamo avvicinati e abbiamo visto che stava risalendo le scalette che portano alla vasca. A quel punto abbiamo tentato di prenderlo, ma lui è caduto all’indietro sbattendo la testa sui gradini, poi siamo usciti nel piazzale”. Con lui c’è anche Giuseppe Setzu, rientrato al lavoro lunedì dopo le ferie. “Beppe era con me, poi non l’ho più visto”. Setzu, infatti, è tornato indietro per aiutare i colleghi. Ma la miscela di gas lo ha stordito ed è caduto. Morirà all’ospedale Sacco.
La vasca, viene spiegato, non è un buco vero e proprio. Ci si accede, infatti, con una scala normale e non a pioli. “Li sotto non c’era più ossigeno”, spiega un altro operaio. “Anche io mi sono sentito male”, prosegue l’addetto alle cesoie. L’incidente è avvenuto nel secondo capannone della ditta dove ci sono i due forni con le due campane e il reparto che si occupa poi di modellare l’alluminio. Arrigo e Giancarlo Barbieri sono poi fratelli, entrambi di Taccona un frazione di Muggiò (Monza). Entrambi erano stati portati in fabbrica dal padre che per anni ha lavorato come factotum del titolare. Giancarlo risulta fosse già in pensione, e in fabbrica ci andava in qualche modo per istruire gli operai più giovani e con il ruolo di responsabile della produzione. La fabbrica è ora sotto sequestro.