D’accordo, quando Paolo Gentiloni dice che “la possibilità che i 5Stelle arrivino a guidare il governo non esiste perché non avrebbero i numeri per governare”, la sua è senza dubbio una scorrettezza (altro che neutralità del premier), ma pone ugualmente una questione non marginale che riguarda soprattutto Sergio Mattarella.
Cosa farà il capo dello Stato, dal 5 marzo in poi, nell’eventualità (probabile secondo tutti i sondaggi) che il M5S conquisti la percentuale necessaria per risultare il partito di maggioranza relativa? Che però di voti non ne abbia raccolti abbastanza per governare da solo? Luigi Di Maio, nel presentare le 20 proposte del Movimento, ci ha già spiegato che la sera del 4 marzo le forze politiche “dovranno dirci perché non convergono sul nostro programma”. Con questa formula, il capo politico sembra quasi mettere le mani avanti rispetto al no degli altri partiti, ampiamente prevedibile. Chi, infatti, realisticamente, potrebbe “convergere”?
Escludiamo per ovvie ragioni Pd e Forza Italia. Ma anche la Lega, perché se per ipotesi (estrema) Matteo Salvini decidesse con uno strappo atomico di staccarsi da Berlusconi, i voti per una maggioranza “populista” non ci sarebbero ugualmente. E ce ne sarebbero ancora di meno nel caso di un accordo, anche questo ipotetico, con Liberi e Uguali di Grasso, Bersani e D’Alema.
Esiste poi un aspetto formale molto sostanziale e qui torniamo al Quirinale.
Come si sa, prima di affidare l’incarico, per prassi costituzionale, il presidente della Repubblica indice le consultazioni e sulla base delle indicazioni ricevute dai gruppi parlamentari conferisce l’incarico alla persona con le maggiori possibilità di formare un governo in grado di ottenere la fiducia del Parlamento.
Tagliamo corto: Mattarella potrebbe conferire a Di Maio un incarico esplorativo per cercare una complicata maggioranza in Parlamento sulla base del programma pentastellato?
Ipotesi non impossibile, ma spericolata, soprattutto se le percentuali del centrodestra sfiorassero la maggioranza assoluta (se la conquistassero discorso chiuso). In quel caso, l’esplorazione non spetterebbe subito al candidato premier designato da Berlusconi, Salvini e Meloni?
Insomma, poiché i grillini avranno molti difetti ma a fare politica hanno imparato in fretta, ecco che la mossa del programma sembra studiata come la continuazione della campagna elettorale. Infatti, se col nuovo Parlamento nessuno fosse in grado di formare un governo (oggi i sondaggi dicono questo) Mattarella potrebbe (dovrebbe) forzatamente ricorrere a un governo di scopo, sostenuto da chi ci sta, con l’incarico di approvare una nuova legge elettorale per procedere entro pochi mesi a un nuovo voto. Sarebbe il secondo tempo di una partita che il MoVimento potrebbe puntare a vincere accreditandosi come la sola alternativa agli inciuci di regime, e “per non lasciare il Paese nel caos” (sempre Di Maio). Tanto più se gli altri partiti non avranno condiviso per esempio “il taglio delle liste d’attesa per tutti gli esami nella Sanità”, la “lotta alla grande evasione fiscale”, “l’uscita dal petrolio entro il 2050”, “l’abolizione del precariato nella scuola”, per non parlare “dell’abolizione della povertà” (Di Battista). Vasto programma, per dirla con il generale De Gaulle, che però si riferiva semplicemente all’abolizione dei cretini.