Sarà disdicevole, deplorevole, esecrabile o come vogliamo, ma è del tutto legittimo che i capipartito (e sodali) mettano in lista chi più gli serve o gli aggrada. Tocca ai cosiddetti leader, infatti, la non piccola responsabilità di far confluire il maggior numero di voti possibili sui propri simboli. E se il prezzo consiste nel perdere la faccia, poco male visto che molti già comunque non la ritrovano più. Alla fine, come sempre, saranno gli elettori a decidere sulla qualità accettabile o pessima dei nomi proposti e i conti come sempre si faranno all’apertura delle urne.
Detto ciò, l’unica sentita preghiera che ci sentiamo di rivolgere dopo la mattanza degli aspiranti candidati in Pd, Forza Italia, 5Stelle e nel resto del cucuzzaro, è che la si pianti una buona volta con la palla indigeribile della trasparenza. Parolona che insieme a credibilità e merito rappresenta la santissima trinità dei venditori di fumo. Forse non sempre la politica è sangue e merda (Rino Formica), ma continuare a spacciarne il maleodorante cinismo come se fosse Chanel numero 5 è un’ulteriore provocazione per gli elettori stanchi di essere presi per il naso.
Ben si comprende, per esempio, la natura dell’operazione notte e nebbia con cui Matteo Renzi ha annichilito l’opposizione interna (struggenti le frasi autoconsolatorie di Andrea Orlando, timoroso forse di finire anch’egli cancellato in extremis) per disporre di gruppi parlamentari ad alta fedeltà. Indispensabili nel caso il 5 marzo lo statista di Rignano dovesse fare i conti con il paventato flop (o per un nuovo Nazareno, non si sa mai). Esperienza che il segretario ha definito “devastante”: per la minoranza sicuramente sì. Così come può avere un senso la decimazione in atto nel M5S con Luigi Di Maio e i suoi impegnati a escludere con un tratto di penna “le persone che non ci convincono”.
Cernita piuttosto soggettiva condotta attraverso il metodo delle “segnalazioni (delazioni) incrociate, sport assai praticato nel mondo “grillino”, come apprendiamo dal puntuale resoconto del Fatto. È naturale che pure il capo politico grillino senta l’esigenza di gruppi parlamentari di sicura obbedienza onde evitare le trasmigrazioni che dopo le elezioni del 2013 portano una grossa fetta degli eletti – miracolati da Grillo – a cercare fortuna altrove. Ok, ma a patto che ci venga risparmiata la solfa dell’unicità di un movimento dove è la base che indica i candidati a differenza della vecchia politica, eccetera. Non è così.
Poi c’è Forza Italia, che almeno ci risparmia questo teatrino ipocrita visto che dalla fondazione la scelta dei salvati e dei sommersi è affidata, con poche eccezioni, al giudizio supremo del padrone (metodo che molti elettori continuano ad apprezzare). Da quella parte, trasparenza, merito e credibilità non fanno parte dell’arredamento. Ma da questa parte neppure.