L’ingratitudine è un sentimento e i sentimenti, si sa, non sono contemplati nel crudele cinismo della politica. Ma un uomo “infatuato e tradito” dopo quasi tre anni di amore seppur clandestino non può che sfogarsi che in questi termini: “Ho accumulato tantissima amarezza, Renzi è un ingrato, non doveva rifiutarci l’apparentamento, a maggior ragione dopo che gli avevo ribadito il mio ritiro. Più che per me, mi dispiace soprattutto per voi che mi avete seguito e avuto fiducia in me”.
È questo lo sfogo di Denis Verdini consegnato ad alcuni suoi colleghi parlamentari di Ala, il partitino parlamentare nato nell’estate del 2015 da una costola della destra berlusconiana (e non solo). Liberali e riformisti, ma con lo stigma dell’impresentabilità del loro leader Verdini: ben sette tra inchieste, processi e condanne per reati che vanno dalla corruzione e dalla bancarotta alla truffa. Toscano come Matteo Renzi, Verdini è stato dapprima l’ideologo del renzusconismo, indi dell’evoluzione del Pd in Partito della Nazione. Obiettivi inseguiti in questi anni di sostegno alla maggioranza e che di colpo sono spariti in una manciata di giorni.
Appena due settimane fa, a metà gennaio, quelli di Ala, nemmeno venti tra senatori e deputati, erano convinti di entrare con le loro liste nella coalizione di centrosinistra. Per farlo avevano finanche recuperato il glorioso simbolo dell’Edera repubblicana (il secondo partito più antico d’Italia, nato nel 1895) e cominciato la ricerca dei candidati sui fatidici territori. Poi lo stop. Al Nazareno, raccontano, l’alleanza coi verdiniani sarebbe costata almeno due punti percentuali, con o senza “Denis”. E con il Pd che continua a scendere nei sondaggi forse non era il caso di peggiorare le cose. Prosegue lo sfogo di Verdini riferito sempre da alcuni suoi colleghi: “Io con Matteo avevo un patto.
Quest’estate mi ha cercato Berlusconi, era agosto, e mi ha chiesto di organizzargli la quarta gamba di cento. Gli ho detto di no, Matteo mi aveva assicurato al cento per cento che saremmo andati nel centrosinistra”. Invece no, non è finita così. I verdiniani spiegano che per cavarsi dall’impaccio del voltafaccia, niente alleanza e niente liste nel plurinominale, il segretario del Pd avesse offerto solo due o tre posti nell’uninominale in Toscana per gli autoctoni di Ala di quella regione, Mazzoni o Faenzi o Parisi. A quel punto Verdini ha chiuso drasticamente. “E agli altri cosa gli dico?”.
Amarezza e ingratitudine. E provoca sorpresa il ritratto di Verdini – dalla fama di politico prosaico e pragmatico – come uomo “infatuato e tradito”. Innamorato di Renzi, ovviamente. Un rapporto fatto di telefonate e sms e coltivato quotidianamente con la frequentazione di Luca Lotti, la scatola nera del renzismo. Nulla da fare, alla fine.
Ieri, giorno di chiusura delle liste elettorali, Verdini se n’è stato a Firenze. Tornerà oggi a Roma, nel suo ufficio nella sede di Ala in via della Scrofa. E dire che un lustro fa, alla consegna delle liste per le Politiche del 2013, Denis Verdini trascorse una convulsa giornata, all’inseguimento sull’autostrada Roma-Napoli di Nicola Cosentino, fuggito con le liste forziste della Campania. Cosentino era stato escluso e Verdini era lo sherpa azzurro per conto di Berlusconi. Altri tempi, decisamente.
Tra i parlamentari di Ala nessuno si candiderà altrove. Il loro rammarico si riversa tutto nel controverso idillio tra i due toscani, “Denis” e “Matteo”. In ogni caso, il primo non si doveva fidare troppo del secondo.
Sostiene Lucio Barani, capogruppo al Senato: “Sono ritornato ad Aulla, il mio paese. Noi di Ala siamo stati la stella cometa che ha indicato la strada delle riforme. La storia ci riterrà protagonisti della XVII legislatura, nel bene e nel male. Da socialista e da craxiano sono fiero di avere abbattuto i comunisti carnefici di Bettino, grazie a noi il Pd si è spaccato e i carnefici sono andati via”. Renzi? Risposta: “Qui non siamo di fronte alla politica, ma a una patologia, lo dico da medico. Si è fatto esplodere da kamikaze, ammazzando anche quelli accanto a lui come noi. Non ci ha voluti perché non siamo servi sciocchi. Alla foce dell’Arno stanno già preparando le imbarcazioni per andarlo a prendere e buttarlo nel fiume dopo il 4 marzo. Finirà molto male per lui”. Vincenzo D’Anna, altro senatore di Ala, aveva intuito già da mesi la deriva renziana. Fu lui a parlare di un trattamento per i verdiniani da “amanti clandestini”. A ottobre si è dimesso dal Senato e oggi è presidente dell’ordine nazionale dei biologi: “Renzi pensa di essere De Gasperi ma è soltanto un bulletto di periferia. Non ha voluto fare il Partito della Nazione ed è diventato terzo su tre. Altro che Macron”.