“Siamo lontani dall’etica che dovrebbe essere, invece, indicatore di un cambiamento”. I partiti non funzionano e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho si rivolge agli elettori mentre nelle nuove liste del 4 marzo non mancano i cosiddetti impresentabili: “La politica deve fare un controllo preventivo dei soggetti eleggibili. Laddove questo non avviene spetta all’elettorato dare una valutazione”.
Procuratore De Raho, anche in questa tornata elettorale abbiamo contato più di 70 tra imputati e indagati inseriti nelle varie liste. Cosa ne pensa?
La prima selezione deve essere fatta dai partiti. La politica deve guardare dentro di sé e portare all’elettorato gli uomini migliori. Quelli che potranno garantire una barriera rispetto alle corruzioni, alle collusioni, ai comportamenti mafiosi. Altrimenti la gente non riuscirà a credere in questo Stato.
La sensazione è che a nessuno interessi questa barriera contro le collusioni. In Calabria le forze politiche hanno candidato indagati per ’ndrangheta, imputati e pure “avvisati” per stalking…
Questo non è dimostrazione di un programma serio di contrasto alle illegalità. In territori come la Calabria credo che le situazioni equivoche continuano a determinare e a favorire quella confusione che è la prima forza delle mafie. Alla fine i soggetti che rappresentano la società, quelli che gestiscono il potere legale sono quegli stessi che provengono dal mondo dell’illegalità. Quando la politica non riesce a svolgere questa selezione, devono essere necessariamente gli elettori a farlo.
Eppure negli ultimi anni molti politici, anche parlamentari, sono finiti in carcere per i loro rapporti con la criminalità organizzata. I partiti non hanno capito il messaggio o comunque è più forte l’interesse delle mafie da tutelare a Roma?
A volte si può anche ipotizzare che, dietro decisioni di questo tipo, ci sia la consapevolezza che il voto mafioso consente di spostare, da un lato all’altro dell’arco costituzionale, il risultato elettorale. È evidente che sono questi i ragionamenti che fondano le scelte dei candidati.
Da anni si parla di codice etico dei partiti. È uno strumento che serve alla politica o, in zone come la Calabria, la Campania e la Sicilia dove tutti sanno chi sono i referenti delle cosche, il codice etico è solo uno specchietto per le allodole?
Lo strumento serve. D’altro canto ci sono casi di soggetti portati alle elezioni pur avendo un passato dimostrativo di collusioni, contiguità e illegalità. È certo che qui la risposta deve essere dell’elettorato, ripeto.
Secondo lei l’elettorato è pronto a dare una risposta di questo tipo?
I risultati ce lo diranno. Riusciremo a capire se, finalmente, gli elettori faranno quella selezione che non è stata in grado di fare la politica. Mi aspetto che, laddove ci sono presenze inquinanti, gli elettori riescano a dare una lezione definitiva ai partiti.