La verità è che quelli della Confindustria non se li fila più nessuno. Il presidente Vincenzo Boccia ha proclamato la rituale equidistanza dai partiti in lizza per le politiche del 4 marzo ma più che altro sono i politici a mostrarsi equilontani dall’un tempo potente associazione degli industriali. Un tempo gli endorsement confindustriali erano striscianti, a meno che non si trattasse di accompagnare i trionfi elettorali di Silvio Berlusconi, e pesavano. I politici si mettevano in fila per farsi riconoscere antiche amicizie o sdoganamenti d’occasione. Adesso si tengono alla larga, prudentemente. Il che è tutto dire.
Basta scorrere l’album delle foto di famiglia. Eccone una di 25 anni fa. Il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi parla all’assemblea della Confindustria il 27 maggio 1993. È il momento più caldo dell’inchiesta Mani pulite. Il futuro presidente della Repubblica è come sempre diretto e fiducioso: “Gli accertamenti debbono procedere. Ciò deve provocare nella comunità degli imprenditori non scoramento, ma senso di liberazione”. Il presidente degli industriali Luigi Abete gli oppone una risposta tetragona: “Vanno respinti ogni generalizzazione di categoria, ogni processo sommario e ogni atteggiamento giustificazionista”. Ecco la foto di un anno dopo. Abete accoglie all’assemblea confindustriale il neo eletto premier Berlusconi, “collega di ieri”, accompagnato da un parterre di veri poteri forti: Gianni Agnelli, Cesare Romiti, Sergio Pininfarina, Carlo De Benedetti, Luigi Lucchini, Vittorio Merloni e Marco Tronchetti Provera. Romano Prodi, come presidente dell’Iri, siede nella giunta della Confindustria. I giganti sono loro.
Le foto di Confindustria 2018 sono tristi. Prendete il caso Acea. La municipalizzata romana dell’elettricità, quotata in Borsa ma controllata dal Campidoglio, cioè da Virginia Raggi, fa un accordo sindacale con il quale garantisce anche ai nuovi assunti le tutele dell’articolo 18 eliminate dal Jobs Act. La Confindustria grida al tradimento. Il vicepresidente nazionale Maurizio Stirpe minaccia l’Acea di espulsione. Sai che paura, 100mila euro annui di iscrizione risparmiati e poi la Fiat di Sergio Marchionne se n’è andata da sola e non sono pochi gli imprenditori che hanno seguito il suo esempio.
Ma la cosa più imbarazzante è il silenzio di Unindustria Lazio, la territoriale a cui è iscritta Acea. Il presidente Filippo Tortoriello con la sua Gala sarebbe un concorrente di Acea, ma non può salire in cattedra: mentre Acea restituisce l’articolo 18 ai dipendenti lui è all’onore delle cronache per la richiesta di concordato preventivo ed è altresì nel mirino di 23 dipendenti della controllata Gala Tech ai quali non paga lo stipendio da quattro mesi in attesa di licenziarli.
Nel frattempo Boccia non trova una soluzione alla crisi de Il Sole 24 Ore, dove il suo uomo forte è il consigliere d’amministrazione Abete, il presidente di 25 anni fa. Che a sua volta è alle prese con la crisi della sua agenzia di stampa Askanews: “Oltre 130 famiglie, tra giornalisti e poligrafici, subiscono il comportamento dell’azienda che non garantisce il pagamento degli stipendi”, protestano i dipendenti. Sconfina poi nel grottesco il licenziamento di due dei sette dipendenti della Confindustria dell’Aquila, contestato dai due malcapitati a colpi di carta da bollo e provocato a quanto pare da difficoltà finanziarie derivanti dall’alto tasso di morosità delle imprese iscritte. Sic transit gloria mundi.
Brutta aria, ma Boccia fa finta di nulla. Venerdì prossimo a Verona si riuniscono le solenni Assise generali 2018, “momento di incontro e riflessione dell’intero sistema confindustriale per trasmettere alle formazioni politiche una prospettiva strategica per un progetto duraturo di sviluppo, di crescita e di occupazione”.
Viva è l’attesa. Sarà proposto il modello Gala o il modello Sole 24 Ore? Il modello Askanews o il modello Fiat (fuga dall’Italia e dalla Confindustria)? Intanto il Centro studi Confindustria, galvanizzato dalla trionfale profezia secondo cui la vittoria del No al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 avrebbe gettato lo Stivale nella miseria e nella disperazione, avverte gli elettori. È vero che l’economia nel 2017 è andata bene come non si vedeva da anni (nonostante la vittoria del No), però adesso “saranno decisive le scelte fatte dopo il voto per chiudere il divario di crescita italiano con il resto dell’area Euro”. Attenti a come votate, ma nessuno si spaventa.
Tra tante parole al vento, il vero metro di giudizio è quello delle candidature. Una volta i partiti si contendevano prestigiose figure di imprenditori con cui impreziosire le proprie liste. Nel 1992 il Pri portò a Montecitorio Luciano Benetton, nel 1994 il Pds di Achille Occhetto elesse a palazzo Madama Franco Debenedetti. La Dc nel 1976 volle senatore nelle sue liste Umberto Agnelli, e Francesco Cossiga nel 1991 nominò senatore a vita Gianni Agnelli. Ciampi nel 2005 fece senatore a vita l’ex presidente della Confindustria Pininfarina che come primo atto politico nel 2006 votò la fiducia al governo Prodi. Poi, scivolando verso il peggio, nel 2008 Walter Veltroni fece eleggere il vicepresidente della Piaggio Matteo Colaninno e il presidente della Federmeccanica Massimo Calearo, che poco dopo mollò il Pd rivelando di non essere mai stato di sinistra. L’ultimo grande acchiappo lo fece Mario Monti nel 2013 portando in Parlamento uno degli ultimi industriali di successo e rispettati, Alberto Bombassei padre dei freni Brembo.
A questo giro l’industriale non tira e i pochi che si candidano sono giovanotti più ambiziosi che noti. Il Pd ripropone Riccardo Illy, re del caffè ma soprattutto re delle cariche elettive dopo essere stato sindaco di Trieste e governatore del Friuli. Berlusconi fa correre alle regionali del Lazio Stefano Parisi, che fu direttore generale della Confindustria ai tempi della presidenza di Antonio D’Amato, ma ormai fa di tutto per far dimenticare il suo passato imprenditoriale e passare per politico puro. Anche perché, nonostante tutto, i politici sembrano avere le idee più chiare degli imprenditori. Basti il caso delle Marche, dove il presidente della Confindustria regionale Bruno Bucciarelli si schiera per la continuità del governo Gentiloni e la sua associata Graziella Ciriaci, imprenditrice dei salumi, si candida con Forza Italia. Divergenze parallele, diciamo. O più seccamente ognuno per sè e Dio per tutti.