Tutto è pronto per il grande salto. L’area su cui è stato realizzata Expo sta per diventare il più grande progetto di sviluppo urbano a Milano. Due miliardi e mezzo di euro saranno impegnati, sotto la regia delle società Arexpo e Land Lease, per portare lì il campus dell’Università Statale, il centro di ricerca Human Technopole, il nuovo ospedale Galeazzi e poi le sedi delle aziende che costituiranno il polo hi-tech (interessate finora: Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Celgene, Ibm). I promotori sono certi di riuscire a superare tutti i problemi strategici, organizzativi, politici e finanziari di un’operazione così complessa. Ma ora si presenta un problema nuovo: un’inchiesta della Procura di Milano sull’inquinamento della falda acquifera dell’area, che si somma alla presenza di due aziende pericolose ai confini del futuro campus.
La terra avvelenata. Le bonifiche dei terreni sono state fatte, dichiara la società Expo. Lo ribadisce Arexpo (proprietaria dei terreni) e lo conferma il Galeazzi, che ha fatto una accurata serie di verifiche prima di confermare l’acquisto dei terreni su cui costruirà la sua nuova sede. Terra pulita, garantiscono. Il problema è la falda. Inquinata da una azienda chimica, la Brenntag, ex Weiss, con sede in via Tonale, nel Comune di Baranzate, a 100 metri dall’area Expo: per anni ha disperso nel terreno inquinanti pericolosi e cancerogeni come il cromo esavalente, il teracloroetilene, il clorurato di vinile. L’inquinamento è stato scoperto già nel 1999, scrive l’Arpa (l’agenzia regionale per l’ambiente), comunicando che si sono resi necessari gli impianti Mise (Messa in sicurezza di emergenza), barriere idrauliche a valle dell’insediamento ex Weiss che ripuliscono le acque di falda. Il primo Mise è stato attivato nel 2010 dalla stessa Brenntag, che poi lo ha rafforzato nel 2013. Ma nel 2015, alla vigilia di Expo, quell’impianto non è stato più ritenuto sufficiente: la stessa società Expo spa ha provveduto ad attivare un nuovo impianto. A scoprire tutto ciò è la consigliera regionale M5s Silvana Carcano, che da anni ha gli occhi puntati sull’inquinamento dei terreni Expo e insieme ai suoi colleghi Monica Forte e Giovanni Navicello ha presentato due denunce alla Procura di Milano. “I Mise sono impianti d’emergenza”, spiega Carcano, “che non hanno portato alla soluzione definitiva del problema”. Per questa ci vuole una bonifica dei terreni a valle della ex Weiss e di un’altra azienda inquinante vicina, la Oemm di via Belgioioso. Senza una bonifica, la falda continuerà a portare i veleni nell’area Expo, per ora solo temporaneamente bloccati dai Mise d’emergenza: un’emergenza che dura da otto anni. Pagata con soldi pubblici: perché il Mise impiantato da Expo nel 2015 costa (circa 300 mila euro la realizzazione e la gestione). E perché il denaro pubblico deve servire a garantire un’operazione immobiliare – la valorizzazione dei terreni su cui si è svolta l’esposizione universale – ormai nelle mani di una società privata come Land Lease?
La Brenntag nell’ottobre 2015 ha presentato un progetto di bonifica. Ma non ha ancora ricevuto l’autorizzazione a realizzarlo. Perché? La bonifica durerebbe, secondo l’Arpa, 330 giorni, quasi un anno intero, e durante i lavori i Mise non sarebbero in grado di funzionare: dunque la falda sarebbe di nuovo inquinata, proprio a ridosso dell’ospedale Galeazzi in costruzione.
“Sulla salute dei cittadini e di migliaia di studenti non si può scherzare”, commenta Dario Violi, M5s, “serve chiarezza assoluta prima di investire in quell’area”. Ai terreni Expo sono stati rilasciati i Cab (certificati di avvenuta bonifica). Sono “puliti”, ma non definitivamente, secondo il M5s: fino a che non sarà fatta la bonifica a monte, resta il pericolo che la falda riporti a valle i veleni della ex Weiss. Allora i Cab sono stati assegnati in maniera illegittima? Ora la parola passa alla Procura.
Le aziende a rischio. Come se non bastasse, al confine con il futuro campus ci sono due aziende, la Ecoltecnica (gruppo Suez) e la Dipharma (Francis) che sono “a rischio chimico”: dal 2002 svolgono infatti attività di “messa in riserva e deposito preliminare di rifiuti industriali speciali pericolosi”. Hanno infatti un “piano incidenti” in caso “di incendio o di rilascio nell’aria di nube tossica” che prevede, nel raggio di almeno 220 metri (dunque dove dovrebbe sorgere il campus), la chiusura delle finestre, da “sigillare con nastro adesivo”, e delle fessure degli stipiti e della luce tra porte e pavimento, da “tamponare con panni bagnati”. “Vista la vicinanza al sito di aziende Rir (Rischio di Incidente Rilevante)”, dice Navicello, “ci chiediamo se studenti, cittadini, lavoratori e professori siano stati informati dei rischi, prima di decidere se trasferirsi in un’area così pericolosa”.