L’intervista

Biotestamento, Marco Cappato: “Anche con la nuova legge si parte per morire”

Marco Cappato - Oggi la sentenza sul caso Dj Fabo: “Il biotestamento non basta, chi può va in Svizzera”

14 Febbraio 2018

Mercoledì (oggi, ndr) potrei essere condannato a una pena tra 5 e 12 anni. Sono accusato di istigazione e aiuto al suicidio di Fabo.

Marco Cappato, però il pm ha chiesto l’assoluzione…
Sì, ma il gip aveva chiesto l’imputazione coatta. Non ci sono garanzie. Noi abbiamo chiesto l’assoluzione oppure che la questione sia rinviata alla Corte Costituzionale. Abbiamo chiesto un’assoluzione basata sul principio che Fabo aveva il diritto di scegliere di morire. E come morire. Sarebbe una pronuncia storica. Aprirebbe la strada per non andare più in Svizzera.

Adesso c’è anche la nuova legge sul testamento biologico…
È ancora presto. Ci sono enormi difficoltà. Molti Comuni non hanno ricevuto informazioni essenziali.

Che cosa non funziona?
L’ideale sarebbe che le disposizioni del testamento biologico fossero inserite nella tessera sanitaria. E che, nel frattempo, le volontà possano essere autenticate dai Comuni.

Intanto i ‘pellegrinaggi’ in Svizzera continuano?
Vanno poche decine di malati. Ma migliaia di persone sono nelle condizioni di Fabo e non possono affrontare il viaggio per una questione di denaro e di tempo.

Lei quanti ne ha accompagnati in Svizzera?
Ho accompagnato personalmente solo Fabo e Piera Franchini. Ma lei, dopo essere arrivata là, aveva rinunciato. Altre persone le ho aiutate, ho pagato il viaggio.

Che cosa ricorda di loro e di Fabo?
Di Fabo ricordo la grande tensione perché temevo che andasse male e sentivo la responsabilità: Fabo si era affidato a noi perché voleva che la sua fosse una scelta pubblica. E non voleva che ricadesse sulle persone cui voleva bene. Ma potevano fermarlo sotto casa sua, potevano bloccarlo al confine. Poi ci fu il momento più penoso, quando – nella clinica di Zurigo – il giorno prima di morire Fabo fece le prove. E non riuscì a schiacciare con la bocca il bottone per assumere la sostanza. Poi fu trovata la soluzione…

Quante persone si sono rivolte a lei in questi anni?
Tante. Alcune non sono riuscito ad aiutarle, non ho fatto in tempo. Ricordo Irene, malata di tumore. Poi un malato di sla. E ricordo ragazzi che si sono rivolti a me anche se stavano bene fisicamente. Ma non riuscivano a vivere.

E lei cosa ha fatto?
Ho cercato di indirizzarli a un sostegno psicologico. Non sono un esperto, non ho la competenza necessaria. Posso soltanto cercare di parlare con loro. Ma anche questo fa capire perché è necessaria una legge sull’eutanasia che abbiamo proposto.

Che cosa chiedete?
Noi abbiamo seguito il modello olandese. Che richiede tre requisiti: una malattia irreversibile, una sofferenza insopportabile. E controlli medici stringenti. È come per l’aborto: disciplinare l’eutanasia aiuterebbe chi ha diritto a porre fine alla propria vita. Ma anche chi può essere aiutato a vivere e invece rischia di affidarsi a mani sbagliate.

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