Il giornalismo del tè coi pasticcini deplora i metodi di Fanpage.it, ma evita d’interrogarsi sul come mai le uniche inchieste-verità che hanno incendiato questa campagna elettorale del nulla siano opera di un coraggioso sito napoletano e della redazione televisiva de Le Iene, che quando azzanna una notizia non la molla più. Come ben sanno i Cinque Stelle che hanno dovuto molto ringraziare la iena Filippo Roma. Il suo scoop ha permesso loro di cacciare i furbastri delle mancate restituzioni, che la facevano sotto il naso ai Di Maio e Casaleggio.
Materiale succulento che riempie da settimane le pagine di tutti quotidiani che mentre avidamente se ne nutrono storcono la boccuccia “signora mia che ci tocca vedere”. A chi me lo ha chiesto ho risposto che se un pentito di camorra, esperto del ramo, mi avesse proposto d’infiltrarsi tra i topi nel formaggio e mi avesse portato la dimostrazione video che i sorci della politica campana s’ingozzano di tangenti speculando sui rifiuti che avvelenano (e uccidono) quella terra e i suoi sfortunati abitanti, come direttore avrei naturalmente pubblicato tutto e subito. Allo stesso modo si sarebbe comportato ogni altro giornalista del Fatto Quotidiano visto che da quasi un decennio, giorno dopo giorno, si pubblicano su queste pagine notizie che gli altri giornali non hanno o fanno finta di non avere. Ma l’aspetto più divertente di tutta la vicenda è che quei commentatori così schizzinosi con le inchieste altrui sono gli stessi che hanno ricoperto di lodi sperticate il film di Steven Spielberg The Post. Forse dimentichi che le famose rivelazioni del Washington Post sulla sporca guerra del Vietnam erano contenute in settemila pagine top secret sottratte e fotocopiate dal luogo segreto in cui erano conservate: un furto vero e proprio. E che soltanto una storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti evitò agli autori di un evidente reato, il direttore Ben Bradlee e l’editore Katharine Graham, una lunga detenzione.
Certo che i concorrenti del Post schiumavano rabbia, ma se qualcuno in quella ciurma di pirati avesse osato obiettare che lo scoop metteva a rischio la sicurezza degli Stati Uniti (come sosteneva il presidente Nixon), gli avrebbero riso in faccia. Perché nei giornali che fanno i giornali se c’è una notizia si pubblica e basta. Qui da noi le dame di compagnia della politica si dicono turbate dai metodi usati da Fanpage.it e tirano in ballo le garanzie dello Stato di diritto. Dal che si deduce che il direttore Piccinini davanti al promesso scambio di mazzette (protagonista il capo dell’azienda rifiuti che infatti poi si è dimesso) avrebbe dovuto cancellare, fermi tutti, la videoripresa in nome, s’intende, dello Stato di diritto. Tangentisti e avvelenatori avrebbero potuto proseguire tranquillamente il lavoro così proficuamente avviato e, soprattutto, si sarebbe evitato di disturbare la premiata dinastia De Lucas. Capisco che qualche pio collega potrebbe inorridire nel sapere che a noi malvissuti insegnarono che questo mestiere si fonda sulle tre esse: soldi, sangue, sesso. Parole che, nel tempo, sono diventate: silenziare, sopire, sostenere (gli amici), spiegano bene come mai i giornaloni perdano montagne di copie. Siamo dei morti che camminano, mi ha confidato qualche giorno fa il direttore di un’importante testata. Sì, ma con tutte le garanzie.