Alcuni giorni orsono, richiesto dalla giornalista Liana Milella del quotidiano La Repubblica di un parere sull’introduzione nella nostra legislazione della figura del c.d. “agente provocatore”, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone ha così risposto: “Assolutamente sì all’agente infiltrato, assolutamente no all’agente provocatore, perché si crea un reato che non c’è, e perché, come dice una sentenza della CEDU, si va contro il diritto di difesa”.
Ieri – dopo un articolo de Il Fatto Quotidiano che segnalava come la previsione dell’agente provocatore fosse assolutamente necessaria per sradicare finalmente la dilagante corruzione – il Garante anticorruzione è tornato sull’argomento con un lungo articolo scritto, a due mani, con Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale dell’Università Statale di Milano, sul Corriere della Sera dal titolo: “Va punito chi fa reati, non chi potrebbe farli; ecco tutte le incognite dell’agente provocatore”. Gli autori – dopo aver richiamata “l’esigenza insopprimibile di garantire il rispetto di diritti fondamentali del cittadino di fronte alla giustizia penale” – hanno “ricordato quel che si insegna agli studenti di giurisprudenza: il compito della giustizia penale è punire (e perseguire) coloro che hanno commesso reati, cioè fatti socialmente dannosi, non coloro che si mostrano propensi a commetterne. In secondo luogo, è opportuno riflettere sul fatto che uno Stato che mette alla prova il cittadino per tentarlo e punirlo, se cade in tentazione, non riflette un concetto di giustizia liberale”.
Gli autori, inoltre, dopo aver richiamato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha ritenuto illegittimo l’impiego di tale istituto, hanno sottolineato che “la pratica investigativa che faccia uso dell’agente provocatore è, all’evidenza, una pratica che si può prestare ad abusi: chi decide chi, quando e come provocare?”, di qui la necessità di “garantire il cittadino da possibili abusi della polizia”.
Le ragioni che militano a favore dell’introduzione nella nostra legislazione penale della figura dell’agente provocatore sono state già illustrate nell’articolo pubblicato martedì scorso da questo giornale, in perfetta sintonia con i pareri di magistrati di assoluto valore come Pier Camillo Davigo – autentico pm anticorruzione e oggi presidente di sezione della Corte di Cassazione – e l’ex Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. Non è, quindi, il caso di ritornare su tali ragioni se non per segnalare la irrilevanza dell’argomentazione secondo la quale “questa pratica investigativa si può prestare ad abusi”. Invero, una volta che la figura dell’agente provocatore sia stata legislativamente riconosciuta, il “provocatore” agirà secondo le direttive e le modalità indicate dall’Autorità Giudiziaria sotto il cui costante controllo dovrà operare, il che esclude qualsiasi “possibilità di abusi della polizia”.
Quello che, invece, qui preme sottolineare è la circostanza che, in precedenza, il Presidente dell’ANAC, in una intervista rilasciata nell’agosto 2014 al Corriere della Sera diceva esattamente il contrario: “Un agente provocatore offre a un Pubblico ufficiale una grossa somma di denaro per avere un significativo atto a suo favore, tutto con le garanzie di legge e sotto il controllo della AG.” Continua al Corriere della Sera Cantone: “Al Governo direi di ampliare gli istituti dell’agente provocatore validi per la criminalità organizzata. Non solo il classico infiltrato, penso anche a chi si finge corruttore, come in materia di droga dove esiste il simulato acquisto”.
Era, quindi proprio il Capo dell’Anticorruzione che intendeva proporre al Governo (non si sa se poi l’abbia fatto) di prevedere la figura, non del “classico infiltrato”, ma dell’agente provocatore, finto corruttore, che avrebbe dovuto svolgere il suo compito “sotto il controllo dell’AG”