Il 14 dicembre 2015, quando l’Italia si aggiudicò a sorpresa la Ryder Cup 2022, nei salotti della Capitale fu festa grande. Si brindava alla FederGolf di Franco Chimenti e al Coni di Giovanni Malagò, che si assicuravano il più importante torneo di golf al mondo e un grande evento da gestire a piacimento. E si brindava a casa Biagiotti: i proprietari del “Marco Simone Golf & Country club”, la sede prescelta per la manifestazione, erano infatti gli unici ad avere la certezza che da quell’azzardo da 160 milioni (in buona parte pubblici) ci avrebbero guadagnato. Nessun bando pubblico: gli organizzatori hanno sempre spiegato che la struttura era stata designata per le sue bellezze (“dalla buca 18 si vede la cupola di San Pietro”), scaricando le responsabilità della scelta sugli inglesi, che l’avrebbero imposta come condizione imprescindibile. Ora, però, si scopre che Ryder Cup Europe non ha mai messo becco sulla sede, che invece è stata scelta dalla FederGolf. E passata la sfuriata mediatica, sono in arrivo i soldi: 10,5 milioni per rifare il circolo della Biagiotti. Solo le prime gocce del fiume di denaro che di qui al 2027 scorrerà grazie alla Ryder.
L’Italia, Paese a tradizione golfistica pressoché nulla, ha deciso di fare il più grande investimento sportivo dell’ultimo decennio su una disciplina che con 90mila tesserati (tutti veri?) non rientra nemmeno fra le 10 più praticate. Circa 160 milioni, in origine quasi tutti pubblici: col tempo la garanzia statale da 97 milioni è stata assorbita dal contratto firmato con Infront (40 milioni) e da una polizza (30 milioni) stipulata dalla FederGolf. Dopo le polemiche (e le pressioni da Palazzo Chigi), la Fig ha deciso di assicurare la parte più a rischio della fideiussione, quella che riguarda l’aumento da 90 a 120mila tesserati che dovrebbe generare 30 milioni di ricavi (ma negli ultimi 3 anni sono diminuiti). Per farlo, spenderà 100 mila euro l’anno fino al 2027: un altro milioncino preso dal bilancio federale, che nel 2017 ha chiuso col passivo record di 4,5 milioni. E poi restano i 60 milioni di contributi statali alla manifestazione.
Per capire come sia stato possibile tutto ciò bisogna fare un passo indietro. A fine 2014 al Circolo Canottieri Aniene, il club più esclusivo di Roma di cui sono soci, Chimenti e Malagò discutono a un tavolino del bar. Al presidente del Coni lanciato nel sogno di Roma 2024 farebbe comodo un evento di prestigio da aggiungere al carnet della candidatura, e il pacchetto di voti che porta in dote l’influente capo del golf (alle ultime elezioni Coni è stato il dirigente più votato, diventando vicepresidente). Tra i due nasce una forte amicizia. E la pazza idea: portare la Ryder in Italia.
All’estero è un evento planetario, ma da noi c’è più di un’incognita. Per scacciare i dubbi degli organizzatori, il Comitato presenta una proposta indecente da oltre 150 milioni, più di quanti ne siano mai stati spesi per le edizioni passate. Anche il governo Renzi è d’accordo, come testimonia la controfirma di 8 ministeri sul dossier. Quanto sia forte il coinvolgimento lo si capirà meglio in seguito, quando la sindaca Virginia Raggi stroncherà la candidatura di Roma 2024 e il ministro Luca Lotti dovrà spendersi personalmente per far passare i finanziamenti, venuti meno insieme al sogno olimpico. Prima infilando nella finanziaria 60 milioni di contributi, si dice all’insaputa del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Poi approvando a colpi di emendamenti la contestata garanzia da 97 milioni, dichiarata più volte inammissibile in Senato (alla fine entra nella “manovrina” ad aprile 2017).
Restava solo da trovare il campo. La soluzione più logica avrebbe portato a Sutri, nel Viterbese, dove la Fig possiede la sua unica struttura di proprietà: non è un gioiello, ma a colpi di milioni si poteva rifare, lasciando in eredità un centro di eccellenza pubblico per rilanciare il movimento (come farà la Francia). Invece la scelta della Federazione, consigliata dall’advisor Img, è ricaduta sul Marco Simone di Guidonia Montecelio, più rinomato e vicino alla Capitale, e soprattutto di proprietà della famiglia Biagiotti. Secondo le malelingue, proprio i buoni contatti di Lavinia Biagiotti nel jet-set romano e della compianta Laura (al suo funerale Malagò era in prima fila) sono stati determinanti. Il direttore del progetto Ryder, Gian Paolo Montali, ha sempre negato: “Era l’unico campo possibile, altrimenti non ci avrebbero dato il torneo”. Una versione riportata anche sul sito: “Il campo è stato scelto dalla Ryder Cup Europe perché ritenuto l’unico idoneo ad ospitare la competizione”. Ora la ricostruzione viene smentita, smascherando l’ennesima bugia: “Non abbiamo mai imposto nessuna condizione: abbiamo invitato i Paesi interessati a presentare una candidatura, chiedendo di indicare all’interno il campo scelto”, ha chiarito Rce al Fatto.
La scelta di portare la Ryder Cup a casa Biagotti comincia così ad assomigliare a un regalo ai privati. A breve arriverà il contratto con cui il Marco Simone riceverà 10,5 milioni (trovati dall’advisor Infront, che dovrebbe versarli direttamente nelle sue casse con una dilazione di pagamento sull’accordo firmato con la Fig), come canone di utilizzo per la Ryder, due Open d’Italia e altri eventi. Certo, di solito è chi ospita il torneo a pagare la Federazione (per l’ultima edizione a Monza la Lombardia ha sborsato 500mila euro), e non viceversa. “Ma questa è la Ryder”, si giustificano gli organizzatori. E poi quei soldi ai Biagiotti servivano proprio: è più o meno la cifra necessaria ad accendere un mutuo col Credito Sportivo (banca “governativa” dove Lotti ha appena messo mano con nuove nomine) per ristrutturare il campo. Il resto della storia è ancora da scrivere di qui al 2022 (anzi, al 2027): allora si capirà chi ci avrà guadagnato.
di Pierluigi Giordano Cardone e Lorenzo Vendemiale