Non hanno grandi aspettative nei confronti della politica. Tanto che andrà alle urne solo il 40% di loro. E di questi solo uno su due ha le idee chiare su chi votare. Il 60%, invece, diserterà il voto. Parliamo dei diciottenni, ovvero i ragazzi nati tra il 1999 e il 2000, circa 500mila persone che il 4 marzo andranno a votare per la prima volta. Ma l’esordio alle elezioni politiche riguarda anche i giovani tra i 18-23 anni, che nel 2013 erano ancora minorenni: qui la platea si allarga fino a 2 milioni e mezzo di persone. “I 18enni sono alla ricerca di sensazioni forti per questo motivo su di loro fanno presa le formazioni fortemente a sinistra o a destra. Oppure il Movimento 5 Stelle. Chi parla chiaro e chi estremizza il messaggio. Tra loro, dunque, ci sarà chi voterà Liberi e Uguali (Leu) e Potere al popolo, ma pure Lega e Casa Pound. La maggior parte sceglierà M5S. Meno bene i partiti tradizionali come il Pd e Forza Italia”, spiega Alessandro Amadori dell’Istituto Piepoli.
Se si passa all’età appena superiore, fino ai 23 anni, secondo Roberto Weber (Ixè) il voto si orienterà molto verso l’M5S, ma tengono Pd, LeU ed Emma Bonino. Nel centrodestra va bene la Lega, mentre sprofondano Forza Italia e FdI. “I giovani sono orizzontali: orientano il loro voto in base alle opinioni degli amici e della loro comunità. Ma anche la famiglia è importante”, spiega Weber.
Ma i ragazzi del Duemila sono davvero così lontani dalla politica? “Assolutamente sì”, risponde Antonio Noto (Noto sondaggi), “non la vedono come un elemento che può cambiare loro la vita, hanno un tasso di fiducia nei partiti molto basso”. Secondo il sondaggista, i millennials alle urne non pensano che la loro scelta possa cambiare le cose. Molti di loro decideranno negli ultimissimi giorni. Ma non si tratta di apatia completa: se metà dei millennials si disinteressa completamente alla politica, l’altra metà la segue, anche se a distanza.
Secondo tutte le ricerche, però, occorre fare una distinzione tra i 18enni e i 25enni (che votano anche per il Senato). “I primi, giovanissimi, hanno appena finito le superiori, vivono in famiglia, hanno un atteggiamento positivo dovuto anche al fatto di non essere ancora toccati dai problemi della precarietà lavorativa: il loro è un voto di speranza. Più si alza l’età, più aumentano rabbia e frustrazione e voto di protesta, nella maggior parte per i Cinque Stelle. L’elettorato maggioritario di Beppe Grillo ha tra i 25 e i 45 anni, dove arriva a punte anche del 41%”, racconta Maurizio Pessato di Swg.
Oltre ad amici e parenti, è il web il primo canale da cui i ragazzi traggono informazioni. Solo dopo arriva la tv. Non pervenuti i giornali. I giovanissimi vanno poco sui siti di informazione generalisti e, quando lo fanno, è solo per rimando da articoli postati sui social. Usano il web in modo verticale, facendo ricerche specifiche su argomenti che li interessano.
Uno studio dell’Espresso pubblicato qualche settimana fa offre indicazioni interessanti sull’indice di gradimento dei leader. Il preferito dai 18enni è Matteo Renzi, seguito da Luigi Di Maio, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Ma al 44,6% del campione non piace nessuno.
“Il vero problema dei giovani è che contano poco, perché sono pochi”, dice Dario Tuorto, sociologo dell’università di Bologna che per il Mulino ha appena pubblicato L’attimo fuggente, una ricerca sui comportamenti di voto dei giovani nella storia d’Italia (basata soprattutto su indagini campionarie). Durante la Prima Repubblica i partiti si contendevano i giovani perché era in quel blocco sociale in fermento che si potevano pescare i voti decisivi a cambiare i rapporti di forza. Nel 1968 i giovani iniziano ad allontanarsi dalla Dc (che nella fascia 18-30 prende il 4,8 per cento in meno che in quella 31-60) e alle elezioni del 1972 si spostano in massa sul Pci che raccoglie preferenze dell’8,6 per cento superiori tra i giovani rispetto agli adulti e anziani, secondo i dati elaborati da Tuorto. Poi arriva la Seconda Repubblica: nel 1994 il centrosinistra inizia a perdere voti tra i giovani e nel 1996 c’è lo sfondamento del centrodestra che nella fascia 18-30 ottiene il 10 per cento di preferenze in più rispetto alla fascia 31-60.
Nel centrosinistra il distacco non si fermerà mai, i giovani votano Ds, Margherita e poi Pd meno degli adulti, qualcosa del voto perduto viene intercettato dalle forze di sinistra radicale (anche An ha successo a destra), fino al terremoto del 2013. I giovani votano il centrosinistra meno degli adulti (-8,2 per cento) ma abbracciano in pieno la novità del Movimento Cinque Stelle: 11,8 per cento in più nella fascia 18-30 rispetto a quella 31-60. “Il voto ideologico a sinistra dei giovani, negli Anni Novanta, era l’ultimo canale di trasmissione tra genitori che si erano formati nella a fase dei movimenti e figli che seguivano la tradizione. Oggi c’è un voto nuovo, che rispecchia un conflitto generazionale e forse anche l’interesse per nuove forme di politica, ma è certo che se il Movimento Cinque Stelle avesse una connotazione ideologica non sarebbe così votato”, spiega il professor Dario Tuorto.
Nella Prima Repubblica le preferenze degli adulti erano congelate, frutto anche di esperienze polarizzanti del dopoguerra, ma i giovani intercettavano per primi i grandi cambiamenti e si posizionavano: anticipano il voto conformista per la Dc, poi lo spostamento a sinistra (anche come reazione al boom economico dei primi Anni Sessanta) e sono i primi a perdere fiducia nel partito di massa novecentesco e a essere sedotti da Silvio Berlusconi. Poi scompaiono, per riemergere soltanto con l’arrivo del Movimento Cinque Stelle. Ma neppure Luigi Di Maio, candidato premier M5S, li ha messi al primo posto nel suo programma elettorale. Ci ha provato Liberi e Uguali di Piero Grasso, lanciando l’idea di cancellare le tasse universitarie (in realtà un aiuto alle famiglie), il Pd nel programma propone incentivi per andare a vivere da soli, ma poi in tv e suoi giornali parla solo di pensionati, pensionandi e lavoratori dipendenti. Tutte categorie in cui di giovani ce ne sono ben pochi.