L’intervista

Elezioni 2018, Emilio Giannelli: “Sono un vignettista vintage, forse voto Potere al Popolo”

“Anche nel nostro mondo di dissacratori c’è la tendenza a tenere la sedia. Io cerchiobottista? La libertà di satira non è senza confini”

27 Febbraio 2018

L’odio da sentimento è divenuto mestiere. E si ringhia piuttosto spesso e anche per futili motivi. Nella contumelia ritroviamo lo spirito del tempo. Cosicché far ridere, o soltanto sorridere, pare come un fuor d’opera. Emilio Giannelli è il capo dei vignettisti british, il suo lapis è appuntito ma non avvelenato. Si erge, ogni giorno, a ermeneuta del fatto più rilevante che il Corriere della Sera sceglie per i suoi lettori.

“La vignetta si guasta se si bagna nel rancore. Mi faccio bastare le parole del soggetto da proporre. Sono le sue parole che divengono perfette per la caricatura. Gli faccio la barba col suo stesso pennello”.

Sono nati gli odiatori, nessuno più ha voglia di sorridere.

Vero, siamo divenuti noi satirici un’enclave nella narrazione quotidiana della realtà. Ma sa, la forza dell’abitudine e anche un qualche riscontro di pubblico ancora lo conserviamo.

Giannelli, Altan, Vauro, Ellekappa, Forattini, Disegni. Fare ridere (e fare pensare) è un’esclusiva dell’età matura?

Ha trovato il modo di farmi dire che ho 82 anni e che questo mestiere non l’ho scelto, si è impossessato di me. Come sa lavoravo, felicemente, all’ufficio legale di Monte dei Paschi.

Da buon senese…

Da buon senese. Ed è vero che in qualche modo anche nel mirabile mondo dei dissacratori c’è la tendenza a conservare la seggiola invece che far posto ai giovani talenti. Un po’ siamo noi i colpevoli, mia moglie ancora mi ripete che senza il lapis sarei un uomo finito. Un po’ sono gli editori e i direttori dei giornali. La maturità coincide con la morigeratezza. E poi il nome fa tanto: sposta l’attenzione, nel caso la vignetta provochi casino, dalla testata all’autore. Il fattaccio ipotetico è figlio del tizio che disegna non del giornale che lo ospita. Terzo: i giovanotti dovrebbero avere più forza nel proporsi, più coraggio nell’associarsi ed editare fogli satirici. Lo so che non è semplice, ma un’altra strada non c’è.

Una vignetta di Giannelli odora sempre di Novecento. I suoi personaggi li veste e li fa viaggiare come se si fosse al tempo del boom economico. I meravigliosi anni Sessanta.

Sono vintage. D’altronde l’anagrafe parla chiaro.

È ambidestro.

Con la sinistra uso il lapis, con la destra la china. A ciascuna mano un compito.

Sviluppando il concetto: cerchiobottista.

Allora le dirò con tutta franchezza: la libertà di satira non è senza confini. Viene delimitata dall’editore e dalle scelte che fa la direzione del giornale. Io non ho un mandato assoluto: ogni sera mi chiamano e mi indicano la titolazione nella quale vado a impegnare la matita. Quel fatto è la griglia e di quel fatto la mia illustrazione deve avere una qualche coerenza con lo spirito del giornale sul quale lavoro.

Il “Corriere” è prudente.

Mi capita a volte di inviare due vignette e di segnalare quella che mi pare più bella. Ritrovo l’altra, che io avrei scartato.

Giannelli è l’istituzione, è il capo del partito del lapis garbato.

Non serve essere greve.

Come s’è comportato con la Boschi?

Ah, lì anch’io sono stato preso di mira perché le feci dire: da ministra delle Riforme a ministra delle forme.

Sessista!

Sta divendendo un’ossessione oramai. È un’accusa che si lancia a ogni ora del giorno.

La sua matita è d’oro. Montanelli le offrì quattrocento milioni l’anno per disegnare sul suo “Giornale” a giorni alterni.

Vero, mi offrì un sacco di soldi.

Non che se la passi male al “Corriere”.

Me la passavo meglio prima. Da qualche tempo la mia paga ha subìto una decisa decurtazione.

Cairo è un democratico: usa la forbice con tutti. Papa Benedetto invece è un suo fan.

Così ho letto, non so. In verità ho conosciuto solo Giovanni XXIII e papa Wojtyla. Incontrai quest’ultimo perché ero segretario della deputazione di Montepaschi e avevamo appena staccato un assegno di 500 milioni di lire per la Chiesa. L’arcivescovo di Siena volle che gli consegnassimo di persona la provvista. La scena fu un po’ straziante: il Papa era reduce da un infortunio fisico piuttosto serio e non sembrava davvero in forma. L’arcivescovo ci annunciò così: Santità, le presento i rappresentanti del Sacro Monte. Il poveretto non capì nulla e non reagì.

Le è piaciuto fare il dirigente di banca?

Tantissimo.

Adesso il Montepaschi è finito.

Lasci stare, la ferita ancora sanguina.

Ce l’ha a morte col Pd.

Devo dirle di sì.

E anche Renzi non le sta simpatico.

Vero.

Domenica però si vota.

Il Pd no, questo è certo.

Lei ha sempre scelto la sinistra.

Assolutamente.

Quindi Liberi e Uguali?

Temo che questo partito sia in realtà un’unione di personalismi.

Sulla scheda resta Potere al Popolo. È troppo per un signore morigerato come lei?

Le confesso che l’idea mi stuzzica perché assolve a tre cose. Primo: adempio al mio diritto di voto. Secondo: scelgo un movimento ininfluente da un punto di vista elettorale. Terzo: il mio voto non sarà perduto tra le bianche, ma politicamente colorato. Un modo per restare fuori dal giro ma farsi notare.

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