Papa Bergoglio non ha fatto, nei cinque anni che ci separano ormai dalla sua elezione, alcuna riforma, non ha assecondato i piani di coloro che avevano sperato in cambiamenti strutturali nell’organizzazione del cattolicesimo.
Le riforme non si fanno, e probabilmente non si faranno, a causa principalmente dell’inerzia organizzativa della grande struttura ecclesiale e dell’assenza di una crisi profonda, che potrebbe innestare l’avvio di qualche cambiamento. Ci sono state però alcune innovazioni del pontificato che sostituiscono le riforme di struttura: l’attenzione ai temi economici e sociali e la “politica dell’amicizia”.
Al tramonto dell’eventualità di mutamenti reali negli assetti di potere interni alla Chiesa, non è seguita però una delusione profonda da parte dei riformatori e di quella ampia porzione dell’opinione pubblica simpatetica verso l’aggiornamento del cattolicesimo. I motivi per i quali ciò non è avvenuto è il “papismo” di molti cattolici, cioè l’attitudine a pensare il pontefice come all’uomo della provvidenza, all’unico soggetto a cui compete davvero e fino in fondo il diritto di decidere dove la Chiesa debba dirigersi.
A innescare la spirale di eccezionali aspettative è anche il fatto che, una volta eletto, il pontefice non è più rimovibile. Questo elemento fa immaginare che egli sia davvero, dal momento della designazione, un uomo libero, in grado di realizzare quei progetti che ha sempre segretamente coltivato. Questa rappresentazione del sovrano cattolico sottovaluta non solo il peso enorme dell’istituzione, dei suoi interessi, delle sue routine, dei suoi valori di fondo, ma anche il fatto che l’uomo anziano designato a quel ruolo è egli stesso un figlio di quella medesima istituzione.
Il mito del “papa buono e giusto”, circondato da una corte malvagia che ne sabota i tanti magnifici progetti di riforma, è più vivo che mai nella Chiesa di Francesco. La personalità e lo stile del papa argentino si sono imposti con una forza tale da spingere rapidamente in secondo piano le riforme e i cambiamenti strutturali. Francesco è diventato una celebrità così popolare, così seducente e intrigante sul piano personale, da rappresentare in sé una novità sufficientemente ampia per alimentare la fame continua di personaggi e di simboli. Con la sua capacità di sedurre le masse, il papa da un lato aumenta immensamente la popolarità della Chiesa, dall’altro, non solo fa scomparire del tutto dal dibattito pubblico il tema della secolarizzazione e della sempre minor rilevanza del cristianesimo. Ma oscura, quasi fosse una cosa irrilevante, l’esistenza e il funzionamento dell’organismo che dirige, della macchina ecclesiastica, cioè delle prassi politiche, religiose, culturali e normative nelle quali è immerso quel mezzo milione di preti che non si chiamano papa Francesco. Questo, lungi dal rappresentare un problema per l’apparato ecclesiale, diventa la premessa perché esso continui a riprodursi senza eccessive interferenze. Un papa come Francesco occulta, nel discorso pubblico e nella sensibilità collettiva, il dramma dell’allontanamento dei fedeli e le magagne della macchina clericale facendosi, grazie al soccorso dei media, egli stesso cattolicesimo.
Se il papa dice, come ha detto, di aver incontrato quarant’anni fa una psicanalista ebrea, un’affermazione dagli effetti nulli per la vita di un’organizzazione che comprende da tempo tantissimi psicologi, la stampa italiana titola che la Chiesa riconosce e accetta la psicanalisi; se il papa fa una battuta sul giudicare gli omosessuali, per i media la Chiesa ha già archiviato la sua tradizionale posizione di condanna dell’amore tra persone dello stesso sesso. Il sistema della comunicazione tratta la Chiesa come se fosse un’azienda “liquida”, nella quale brand, cultura organizzativa, norme e ragione sociale possono cambiare a seguito di un’alzata di ingegno dell’amministratore delegato. Il papa non fa niente per correggere questo atteggiamento, anzi lo accredita, costruendo in questo modo l’immagine di un’organizzazione religiosa più adatta ai nostri tempi, più gradita alla maggioranza dell’opinione pubblica che in misura sempre più ridotta frequenta sacrestie e oratori e che non nutre particolari pregiudizi contro gli omosessuali o la psicanalisi. La Chiesa cattolica è in realtà l’organizzazione più solida che esista e i cambiamenti al suo interno sono regolati da una selva di regole e di norme, ognuna delle quali richiederebbe, per essere mutata, una riflessione teologica, una discussione dottrinaria, un confronto attento.
Quello che Francesco sembra aver compreso è che il messaggio religioso nel nostro tempo può diventare attraente solo se promette, a chi lo fa proprio, di “vivere meglio”, di realizzare le proprie aspirazioni, di condurre un’esistenza più ricca e serena. L’insistenza sulla dottrina, sul peccato, sulle norme morali da non violare riflettevano un’offerta religiosa basata sullo scambio tra un comportamento dei fedeli retto e rispettoso delle norme morali emesse dalla Chiesa e una garanzia di salvezza eterna assicurata da quest’ultima. In quella visione, la Chiesa si offriva come mediatrice e agenzia di salvezza tra Dio e gli uomini. Questa prospettiva è oggi sempre meno credibile. È ormai divenuta troppo grande la capacità umana di curare e guarire le malattie, di posporre la morte, di aumentare il benessere e la qualità della vita perché lo scenario basato sullo scambio escatologico abbia ancora chance di successo.
Se questa interpretazione è corretta, il papato di Francesco si concluderà senza grandi botti. Francesco ha 81 anni e si avvicina inevitabilmente al termine del suo pontificato, che potrebbe anche concludersi, come avvenuto per il predecessore, con delle clamorose dimissioni “per raggiunta incapacità di assolvere ai doveri dell’alto officio”.
Quale sarà la sua eredità? Come capo della struttura si è rivelato un anziano prete affezionatissimo all’identità cattolica tradizionale, il servitore fedele di una mentalità clericale che ha coltivato per un’intera vita, il primo boicottatore di ogni vera riforma strutturale dell’istituzione. La sua innovazione più grande è stata la pacificazione di tutte le prospettive interne, la composizione, in nome della salvezza dell’organizzazione, dei conflitti tra gruppi e interessi, in un orgoglioso compattamento identitario che getta a mare tutte le ormai anacronistiche divisioni del passato, e con esse le teologie che le giustificavano, per ritrovarsi tutti uniti dentro la medesima struttura di potere maschile e clericale.
Come rappresentante dell’istituzione si è dimostrato in possesso di eccezionali strumenti di comunicazione, che lo hanno reso il personaggio più popolare e amato al mondo, il traghettatore della vecchia barca cattolica nella società del benessere e dell’immagine. Cosa chiedere di più?