“La mia telefonata è in linea con un antico adagio: meglio prevenire che curare”, esordisce dall’altro capo del filo, accento romanesco e modi affettati, per mettere subito in chiaro il tono della conversazione. È accaduto qualcosa di spiacevole a uno dei suoi e quando l’8 febbraio compone il numero di Lorenzo Bagnacani, il senatore Francesco Aracri confida di mettere a posto le cose. L’Ama, la municipalizzata dei rifiuti di Roma Capitale, ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti di Fabio Fiesole, “rappresentante di Forza Italia” in azienda, che ora rischia il licenziamento. Così l’onorevole forzista, senza avere alcun titolo per farlo, chiama l’amministratore delegato nominato dai 5Stelle e lo avverte: interrompa la procedura altrimenti “si andrebbe su un percorso che inevitabilmente assumerebbe tonalità e caratteristiche diverse”.
Tutto inizia il 21 dicembre scorso quando Fiesole, in qualità di “delegato Ama del coordinamento romano di Forza Italia”, firma una nota con Davide Bordoni, capogruppo azzurro in Campidoglio: “È impensabile che venerdì, per quattro giorni, chiuderanno le officine esterne per la riparazione dei mezzi di Ama, già siamo in piena emergenza rifiuti, i mezzi sono rotti e non si riesce a smaltire il lavoro quotidiano”.
Le officine “sono pienamente operative e lo saranno anche nei prossimi giorni, compresi i festivi”, replica l’azienda, che affronta giorni difficili: i giornali battono sul rischio caos, la giunta Raggi è sotto attacco dopo che la Regione Lazio chiede a Toscana ed Emilia Romagna di gestire i rifiuti della Capitale, e l’Ama considera quello di Fiesole l’ennesimo colpo. I vertici giudicano le sue parole “gravemente lesive dell’immagine aziendale” e avviano un iter disciplinare. L’accusa: il dipendente – che secondo l’Ama non è delegato ma solo iscritto alla Fiadel, la Federazione italiana dipendenti enti locali – ha detto il falso.
Il 29 gennaio 2018, Fiesole viene ascoltato in sede disciplinare e l’8 febbraio, Aracri – accusato, come rivelato dal Fatto, da un ex dirigente dell’Azienda Strade della Regione Lazio di aver preso tangenti per 65 mila euro – chiama Bagnacani. “Mi arrivano voci che il nostro rappresentante di Forza Italia sarebbe in odore di licenziamento – premette – anche quando abbiamo governato noi i responsabili delle varie aziende hanno espresso valutazioni e critiche, ma a noi non c’è passato per la testa de andà a licenzià ’sti cristiani”. Quindi arriva al punto: “Siamo anche uomini di mondo. La mia telefonata non deve aizzare chissà che cosa”, ma se il procedimento disciplinare non si fermasse “si andrebbe su un percorso che, non per mia scelta ovviamente, assumerebbe tonalità e caratteristiche diverse”.
Il messaggio è lanciato, Bagnacani lo coglie e risponde che Fiesole non aveva espresso opinioni ma “denunciato fatti palesemente falsi che danneggiano l’azienda”. Poi traduce le parole di Aracri: “Lei mi consiglia di non proseguire”. “No, no, io non consiglio niente, ce mancherebbe er Signore”, replica il senatore, ma “se dovremo cominciare a parlare di Ama, laddove costretti, parleremo di Ama”. Ovviamente, specifica, “il mio non è un consiglio né una mina… ma è evidente che ci si deve difendere”. “Intendo che il messaggio è molto chiaro”, ribadisce netto Bagnacani. “Intende esattamente quello che le ho detto”, chiude Aracri.
L’ad di Ama sporge denuncia in Procura per minacce mentre l’iter disciplinare fa il suo corso: il 20 febbraio parte la lettera di licenziamento “per giusta causa”. Lo stesso giorno si concretizza l’avvertimento del senatore Aracri: parte il fuoco di fila. Bordoni e il consigliere regionale Adriano Palozzi attaccano sul Messaggero.it chiedendo le dimissioni “dell’inefficiente e cialtronesco Bagnacani”. Replicano il 21 febbraio sulle colonne de Il Tempo e dell’edizione cartacea del quotidiano del gruppo Caltagirone. Chiude la batteria la nota che condanna “l’atteggiamento dittatoriale messo in atto dai dirigenti Ama”, firmata da Aracri e Maurizio Gasparri. Così funziona a Roma.