Colpito, inebetito, sconfitto. Senza una strategia definita. Matteo Renzi oggi potrebbe dimettersi. Nella notte, segue lo spoglio al Nazareno. Con lui Martina, Orfini, Bonifazi, Lotti, Richetti. Una proiezione dopo l’altra, il Pd affonda sempre di più: secondo le ultime disponibili prima di andare in stampa si ferma al 19%. Sotto l’asticella – tutta psicologica – del 20%. I dati che arrivano dai territori descrivono una débâcle oltre le previsioni: al Nord e al Sud, i collegi uninominali sono praticamente tutti persi. Nella sala stampa del partito non parla nessuno per ore. Renzi valuta che fare, il Giglio Magico è diviso sulla scelta. Oggi ci sarà l’analisi del voto. Anche gli altri big del Pd aspettano: né Franceschini, né Delrio, né Orlando prendono posizione. Per ora. Il processo finale al segretario è nell’aria da mesi. Ma a questo punto la sconfitta è tanto enorme, quanto collettiva. Alcuni big escono perdenti dalle sfide dirette. Gentiloni segue lo spoglio a Palazzo Chigi: con questi numeri per lui un bis è fuori discussione. Una decisione da prendere sul futuro governo ci sarà.
Il segretario arriva al Nazareno qualche minuto prima della chiusura delle urne. Una decisione dell’ultimo minuto. Prova a dettare la linea: nessun governo con i 5 Stelle. Ettore Rosato lo dice un momento dopo le 23: “Se i dati degli exit poll sono confermati, siamo pronti ad andare all’opposizione”. Più la nottata va avanti, meno la posizione sembra granitica. “Mi pare di capire che non ci sarà un partito o una coalizione con la maggioranza relativa e sarà opportuno valutare dopo che il presidente Mattarella avrà dato l’incarico se per il bene del Paese ha senso dare l’appoggio esterno”, commenta Francesco Boccia. Michele Emiliano questa strada l’ha tracciata qualche giorno fa. I Cinque Stelle i voti al Pd li chiederanno. E almeno una parte del partito valuterà. Renzi è totalmente contrario a questa opzione, ma potrebbe non essere lui a decidere. L’asticella del segretario per rimanere politicamente in vita era il 20%. “Se perdo, non mi dimetto”, ha ripetuto più volte nell’ultima settimana di campagna elettorale. Affermazione che potrebbe venire smentita con un risultato inferiore. I gruppi parlamentari – sulla carta – sono tutti di fedelissimi. Ma può succedere qualsiasi cosa: anche l’ennesima spaccatura dei Dem, con Renzi che se ne tiene una parte. “Catastrofe”, la parola che rimbalza nel partito per tutta la giornata. Anche LeU va male, dato che rallegra (relativamente) il segretario: la scissione, non ha portato bene neanche a chi l’ha fatta. Ma il problema è che Pd ed ex Pd insieme non arrivano al 25,4% di Bersani nel 2013.
La rappresentanza del Pd in Parlamento rischia di essere davvero esigua. Fallito l’obiettivo (minimo) che Renzi si era dato: “Abbiamo vinto le elezioni se il Pd sarà il primo gruppo parlamentare”. Emma Bonino, stando alle ultime proiezioni, si ferma sotto al 3%: se così fosse, il Pd potrà incorporare i seggi di +Europa (ma comunque, non basteranno). Renzi guarda quasi con speranza a un governo M5S-Lega. Un modo per metterli alla prova. Ma dalla base ai vertici, il partito è in rivolta: è una sconfitta storica e porta il suo nome. Dimezzato il 40% delle Europee e – voti che il segretario aveva pensato fossero suoi – il 40% dei Sì al referendum.