La rapida e per ora vincente metamorfosi 5Stelle, che ha permesso il passaggio da forza di lotta a movimento di vaffa e di governo, ha molte spiegazioni. Non c’è solo la pochezza degli avversari, su tutti Renzi. Non c’è solo la loro capacità di fare seria opposizione, che è poi quel che non ha quasi mai fatto il centrosinistra. E non c’è solo il fatto che molti italiani abbiano votato con questo approccio: “Proviamo loro, sono gli unici rimasti”. Nel bene e nel male, il M5S incarna l’unica forza realmente nuova, e dunque antitetica, a chi ha fallito finora.
Ma non c’è solo questo. La svolta ha coinciso con l’ascesa definitiva di Luigi Di Maio, bistrattato dai giornaloni ma reputato evidentemente dall’elettorato non così disastroso. Nella sua campagna elettorale ha sbagliato poco. Toni bassi, concilianti e post-democristiani, senza però tradire gli inizi barricaderi dei Meet Up. Del suo discorso post-voto, quello della “Terza Repubblica”, l’aspetto più significativo erano gli accenni garbatissimi nei confronti del capo dello Stato, al punto tale che quando ha fatto i complimenti a Mattarella gli è pure scappato un po’ da ridere: quasi che, con quel sorriso, ammettesse anzitutto a se stesso di pronunciare parole che mai avrebbe creduto di poter pronunciare. Di Maio è giovane e ha un rapporto conflittuale con congiuntivi e geografia, ma è molto più centrato di quel che sembri. Poco più di un mese fa, quando è passato da Arezzo per il suo tour, sono andato per curiosità a sentirlo. A fine incontro gli ho chiesto cosa si aspettasse il 4 marzo. Ha risposto così: “Sono abbastanza sicuro del 30%, ma se siamo bravi arriviamo al 32 e superiamo i 300 parlamentari. Il Pd? Scende sotto il 20”. Una fotografia perfetta. L’esatto opposto del già confuso Renzi, che sei giorni prima del voto asseriva: “Saremo il primo partito”. Ciao core.
La metamorfosi grillina ha poi avuto altre componenti. La politica sul territorio, un autentico topos del M5S (e della Lega di Salvini, guarda caso l’altra forza vincente). Laddove “l’espressione della società civile renziana” Francesca Barra si vedeva contestata nella sua Policoro di fronte a una piazza diversamente piena, Di Maio e il suo gemello diverso Di Battista riempivano ovunque. Persino a Rignano, persino a Laterina. Da una parte una forza che sapeva generare appartenenza, anche grazie a figure di forte impatto; dall’altro, Lega a parte, la mestizia del Pd e le surreali “curve di Laser” di quel che resta di Berlusconi. È stata poi ben recepita l’idea di presentare in anticipo i nomi dei ministri: ovviamente quel governo non avrà mai luogo perché non ci sono i numeri, ma la mossa ha dato il polso di una forza – per quanto tacciata di incompetenza talora innegabile – in grado di calamitare persone qualificate. Quantomeno più dei “competenti” Gasparri o Madia. A proposito di “competenza”: ogni giorno tivù e opinionisti ci ricordano quanto i grillini governino male Roma, Torino e Livorno, ma gli elettori non sono stati poi così d’accordo. Non tutti perlomeno, a conferma di come da una parte esista la realtà e dall’altra il Magico Mondo delle Fusani. Ha poi funzionato l’apertura alla società civile, benché tardiva e un po’ sghemba. È un altro aspetto su cui il M5S ha stravinto su Renzi, che ha indovinato Cerno (il migliore) ma è franato su Annibali, Barra e Siani. I 5Stelle, e questa sì che è una novità, hanno poi saputo tramutare gli errori in tratti distintivi (e positivi). Per esempio sul caso – puntualmente amplificato dai media, che più li attacca e più li fortifica – di “Rimborsopoli”. Oppure sui massoni in lista: loro hanno dimostrato di allontanare chi sbaglia, gli altri molto meno.
Tutto bene, quindi? Non esattamente, perché il trionfo non ha portato numeri per governare da soli. Mancano almeno 90 deputati e 40 senatori: un’enormità. E sarà qui che il Movimento, Di Maio in primis, dovrà dimostrare quanto e se è cresciuto. I 5Stelle devono stare attentissimi alle sirene a giorni alterni del Pd, anche perché Renzi non li aiuterà mai ed Emiliano (un volpone) non ha i numeri. Se poi il M5S cerca un accordo con la Lega, brucia in un amen milioni di voti. Andare a tutti i costi al governo (con quali numeri?) li esporrebbe al rischio Berlusconi I e Prodi I e II: durare poco e male, per poi perdere le elezioni successive. Il sogno di Renzi. I 5Stelle hanno davanti due strade: “sperare” cinicamente che centrodestra e centrosinistra si uniscano in una sorta di tremendo Renzusconi in salsa salviniana: schizzerebbero al 40%. Oppure, e assai meglio, fare un governo di scopo col centrodestra per scrivere unicamente una nuova legge elettorale. Magari a doppio turno. E poi andare al voto, ottobre o marzo 2019, per lo showdown definitivo. Salvini o Di Maio: tertium non datur. Forse.