Ha notato i segnali dell’altra parte, per ora solo pubblici. E ieri ha fatto un altro passo, facendo riemergere per la presidenza della Camera anche il nome di Roberto Fico, un 5 Stelle con il cuore a sinistra: ora in ballottaggio con Riccardo Fraccaro, più gradito alla Lega. Ma alla fine Luigi Di Maio torna sempre da lui, da Sergio Mattarella: l’arbitro, a cui chiede di mettere ordine al gioco. E di essere comprensivo. “Sono sicuro che il capo dello Stato gestirà nel migliore dei modi questa fase, apprezziamo molto che non stia mettendo fretta alle forze politiche” scandisce ieri mattina il candidato premier di fronte allo smisurato gruppo dei deputati del M5S, oltre 230.
Parole per chiedere pazienza al Quirinale e per ribadire ai suoi che il Movimento va avanti con il suo metodo e le sue tempistiche: una proposta alla volta, senza forzare. Perché la convinzione del capo politico e dei vertici è che il tempo giochi a favore del M5S. Nella loro ottica servono altre settimane, per permettere a un Pd stordito e frammentato dal voto di riassestarsi e magari di mettere definitivamente nell’angolo Matteo Renzi, la condizione irrinunciabile per trattare. Ma serve altro tempo anche per far emergere sempre più le lacerazioni nel centrodestra, “che non è mai stato davvero unito”.
Perché il Movimento vuole prendersi anche le schegge da destra. “Però il primo passo è mostrarci compatti e ottenere la presidenza della Camera”. L’ipotesi di un’inversione con il Senato, circolata ieri mattina, viene smentita seccamente. “Vogliamo Montecitorio perché qui ci sono più vitalizi da tagliare e regolamenti da cambiare” dice Di Maio agli eletti. E poi perché “avere la presidenza di Montecitorio ci metterebbe al riparo da canguri e altre porcherie che abbiamo subito nella scorsa legislatura”, come argomenta un parlamentare di peso. Però c’è da resistere, mettendo il proprio nome.
Il deputato Fraccaro è ancora in pienissima corsa, mentre l’ex direttore di SkyTg24 Emilio Carelli, dato in lizza per giorni anche per i suoi ottimi uffici con la destra, si è ufficialmente tirato fuori. Così la novità di giornata è il ritorno dell’opzione Fico, ortodosso, che ha sempre voluto dialogare con la sinistra. E non è esattamente un caso, proprio ora che qualcosa confusamente si muove nel Pd.
Perché Di Maio e i suoi hanno discusso a lungo dell’intervista di Walter Veltroni al Corriere della Sera, con la (sua) timida apertura a un confronto con il Movimento. E sono rimasti colpiti dal Matteo Richetti che lunedì ha lanciato segnali. “Proprio lui, che era un renziano doc” osservano. Ribadendo però che “l’unico premier possibile è e resterà Di Maio”. L’ipotesi che lui si faccia da parte per un nome terzo, come è sembrato invocare proprio Richetti, non è neppure presa in considerazione. E comunque ora è troppo presto per quasi tutto, “nel Pd non si sa con chi parlare, sono tutti confusi, non c’è nessuno di veramente rappresentativo”. Nell’attesa però Di Maio cala sul tavolo anche Fico, non esattamente un suo sodale. Ieri mattina sono entrati assieme nella sala dell’assemblea dei deputati, prendendosi un lungo applauso. Forse un caso, più probabilmente no.
Di certo si sono appartati più volte per parlare fitto, anche a margine della riunione. Puntare su di lui per il capo politico sarebbe anche un modo per dare un segnale alla minoranza ortodossa, per mostrare che vuole tenere dentro tutti. Quasi una necessità, perché con un esercito oltre 340 eletti la paura di spaccature o fughe resta forte in Di Maio. Però anche la nomina di Fraccaro, dimaiano di ferro, avrebbe molti vantaggi: perché è trasversale, stimato sia dalla maggioranza che dagli ortodossi, e perché il suo profilo di deputato trentino, fautore delle autonomie, è sicuramente più utile per un accordo con la Lega. Ovvero quel Carroccio che un governo con il Movimento lo farebbe senza troppi patemi. “Salvini chiama di continuo Di Maio, è più che disposto ad allearsi con noi” sussurrano dentro il Movimento. Ma la rotta per il candidato premier e i suoi resta un’altra, provare a costruire un governo con l’appoggio di gran parte di Pd e LeU, e di chi ci vorrà stare. E allora ecco l’apertura sui ministri di lunedì e il Fico di ieri, la carta per ricordare ai dem che c’è attenzione massima anche in questa trattativa. Per poi tentare di costruire qualcosa in seguito. Senza troppa fretta.