Il film

Ready Player One, nostalgia pop: Spielberg centra anche il blockbuster

“Ready Player On” arriva nelle sale il 28 marzo

21 Marzo 2018

Ma dove esiste un regista capace in appena tre mesi di portare in sala The Post e Ready Player One? Solo nei nostri sogni, e in quel sogno realizzato che si chiama Steven Spielberg. Dovremmo limitarci a dire: “Io c’ero”. Nondimeno, il 18 dicembre Spielberg compirà 72 anni, splendidamente filmati: ha vinto tanto, ha alimentato l’immaginario collettivo ed è forse oggi il primo sinonimo di cinema. Chi glielo fa ancora fare? Che cosa gli fa portare sullo schermo a distanza di 90 giorni un film quale The Post e un movie – la distinzione l’ha fatta lui stesso al South by Southwest festival di Austin, Texas – quale Ready Player One, se non l’amore sconfinato per il suo mestiere e il nostro piacere? Frutto di multitasking produttivo e versatilità registica con pochi eguali, The Post è un memento sul giornalismo da 50 milioni di budget, scritto e recitato da Dio; Ready Player One è un intenzionale blockbuster, dicunt, da 175 milioni di dollari, tratto dall’omonimo best-seller di Ernest Cline (co-sceneggiatore) e pieno di CGI.

Le star vanno però in senso contrario: Meryl Streep e Tom Hanks per il peana alla libertà di stampa, interpreti non di prima grandezza per il secondo. Dal 2001, ossia dal non riuscito War Horse, SS ha smesso di realizzare film & movie sotto lo stesso titolo e diversifica: Lincoln (2012), Il ponte delle spie (2015) e il già ricordato The Post su un versante, Il GGG – Il grande gigante gentile (2016) sull’altro. Peccato, è un po’ rinnegare quel che l’ha reso Spielberg, vale a dire l’incommensurabile sintesi di E.T. l’extra-terrestre (1982) e progenie.

Ebbene, dietro le apparenze e dentro la sostanza di un prodotto di intrattenimento per il vasto pubblico, dai teenager di oggi a quelli degli anni 80, qualcosa è cambiato: Ready Player One è anche un film imperniato sulla nostalgia pop, eticamente costruito, a partire dalla prevalenza etica del reale sul virtuale, e dunque fedelissimo precipitato ideologico e poetico del Nostro.

È lui il giocatore, e accostare al gamer confesso che è Dostoevskij non è peregrino. Vi ritroviamo la Teoria dei giochi di John Nash, soprattutto, la teoria e tecnica del cinema di SS: intrattenimento aumentato o, se preferite, autorialità disponibile. Sulla scorta di Cline, e calmierando però i riferimenti spielberghiani della sua prosa, ci porta in un futuro distopico e ravvicinato, nel 2045, nella città brulicante di Columbus, Ohio, in un mondo in cui la gramissima realtà è stata soppiantata dall’universo virtuale di Oasis, dove l’unico limite è la propria capacità immaginifica: a crearlo è stato l’eccentrico e recluso James Hallyday (Mark Rylance, il nuovo attore feticcio di SS, superbo anche qui), che alla sua morte l’ha lasciato in dote al vincitore di una competizione in tre partite.

Una caccia al tesoro, l’Easter Egg di Hallyday, cui come tanti altri Gunter concorre Wade Watts (Tye Sheridan), Parzival per avatar, e il resto degli High Five, tra cui Samantha, ovvero l’alter ego Art3mis (Olivia Cooke): riusciranno a trovare le tre chiavi e a eludere la concorrenza del machiavellico Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn) a capo della corporation IOI?

L’avventura, ché infine si gioca proprio ad Adventure, il primo game Atari con Easter Egg, è delizia senza croce per nerd e geek, un’overdose tecnologica, effettistica e sincretica, un’abbuffata di cultura pop, un’ode agli anni Ottanta, in cui il citazionismo è imperante e appagante: da King Kong ai Duran Duran, da Batman al T-Rex di Jurassic Park, dalla DeLorean di Ritorno al futuro (da cui viene il compositore Alan Silvestri) a Stayin’ Alive, dai Goonies a Ghostbusters, è come aprire l’armadio di Narnia e tornare bambini, riscoprirsi ragazzi, e che magone. In fondo, Oasis è una macchina del tempo, avanti e indietro e di lato, un tutto possibile dove l’importante è non perdere il vero sé e – quelli che diverranno – i veri amici: oltre il visore e il virtuale, l’unione fa la forza, meglio, l’unione è la forza, innanzitutto quella cinematografica.

Certo, Spielberg molto concede allo sparatutto virtuale e, all’opposto, è sparagnino con la realtà, ma non molla di un centimetro: Ready Player One si sarebbe detto più congeniale ai suoi figli o nipoti d’arte?

Chissenefrega, la rottamazione può attendere, il re è ancora lui. Dura lex sed Spielberg: immaginazione al potere e valori al governo. Dal 28 marzo al cinema.

 

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