Non è accanimento: la vicenda del contratto Rai per la trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa è diventata il simbolo di come si spendono i denari pubblici in Italia. In modo discrezionale, senza calcoli precisi ex ante e senza controlli o rischio di sanzioni ex post. Per questo serve trasparenza e per questo la lettera di Fabio Fazio a Repubblica di ieri è un atto di arroganza, più che una spiegazione puntuale. Fazio scrive che la delibera dell’Anac, l’autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, seguita a un esposto su Che tempo che fa “non riguarda in alcun modo il mio stipendio” ma soltanto i “possibili rischi che la mia trasmissione non consegua l’equilibrio costi-ricavi, il che vale evidentemente per ogni trasmissione televisiva”.
Intanto è opinabile dire che la questione non riguarda lo “stipendio” di Fazio, visto che il conduttore ha ottenuto 2,2 milioni a stagione per sé, ma anche 12 milioni in quattro anni per la società di produzione di cui è socio, e 2,8 milioni per il format, di cui è uno degli autori. In secondo luogo, è vero che c’è un rischio di impresa in ogni trasmissione tv e l’incertezza è sempre possibile, ma quando si maneggia denaro pubblico pagato da tutti gli italiani addirittura in bolletta elettrica, i vertici della Rai non possono cavarsela dicendo “ops, abbiamo sbagliato” a fine stagione. Ed è questo che la Corte dei conti, sollecitata dall’Anac, dovrà accertare: se l’eventuale squilibrio tra i costi sostenuti dalla tv pubblica e i ricavi effettivi diversi da quelli attesi è dovuto a circostanze sfortunate o a una negligenza degli amministratori, a cominciare dal direttore generale Mario Orfeo.
Poco importa che “il costo complessivo è circa la metà di qualsiasi altro intrattenimento su Rai1”. Quello che conta è l’equilibrio interno del progetto, non il confronto con i costi e le performance di Montalbano o altre fiction. Se i ricavi non sono all’altezza dei costi, significa che i costi (cioè i compensi per Fazio e tutta la struttura) avrebbero dovuto essere più bassi. L’argomento rischia anzi di ritorcersi contro chi lo sostiene: davvero vogliamo confrontare un programma che mette qualche ospite intorno a un tavolo con mesi di produzione, girato e montaggio necessari per una fiction? Qualcuno pensa forse che i due prodotti potrebbero mai giustificare lo stesso investimento?
Fazio, nella sua lettera, difende il diritto di ogni editore “soprattutto se pubblico, di compiere scelte editoriali non necessariamente fondate su un ritorno di utilità economica”. Vero. Dalla Rai dicono: Fazio ha portato in prima serata temi importanti, ospiti internazionali. Ma lo faceva pure su Rai3, per un pubblico non molto diverso, ma a un costo parecchio più basso. Ed è un criterio scivoloso sostenere che in Rai non valgono le regole di qualunque azienda normale perché deve perseguire obiettivi diversi dalla sostenibilità economica. Anche perché così tutto è discrezionale: Fazio è servizio pubblico e Milena Gabanelli, congedata in malo modo dopo una vita di inchieste a Report, invece no?
Se Fazio vuole “tutelarsi in ogni sede opportuna”, può cominciare dalla sede della Rai di viale Mazzini: chieda a Orfeo e ai vertici della tv pubblica di pubblicare per intero la delibera dell’Anac, con tutti i dettagli dei rapporti contrattuali legati a Che tempo che fa. Da giorni la Rai rallenta la pubblicazione del testo sul sito dell’Anac, impegnata a omissare il testo con la scusa che altrimenti la concorrenza avrebbe informazioni preziose. Fazio ha un contratto di 4 anni, al termine dei quali sarà abbastanza ricco da mantenere alcune generazioni di discendenti: se crede davvero alla trasparenza che professa chieda alla Rai di pubblicare tutto, anche se questo potrebbe ridurre il suo potere contrattuale verso Mediaset o La7. Anzi, Fazio potrebbe cogliere l’occasione per rivelare finalmente da chi arrivava l’offerta che l’estate scorsa ha spinto la Rai a cedere a tutte le sue richieste. Mediaset? Sky? La7? Discovery? O era un bluff a spese dei contribuenti? Non si è mai capito e non dovrebbe essere un segreto di Stato.
La trasparenza è nell’interesse di tutti, se davvero non c’è niente da nascondere, altrimenti passerà il solito messaggio: “I soldi sono vostri, ma li gestiamo come ci pare, voi state sul divano a guardarvi Che tempo che fa e lasciateci lavorare”.