Ben sedici assessori e tra loro solo cinque donne. La giunta appena presentata in Lombardia da Attilio Fontana ha il record italiano di poltrone. Pure a livello internazionale se la passa bene, visto che in quanto a numeri supera i 15 ministri tedeschi guidati da Angela Merkel. Ma nonostante ciò le donne hanno trovato posto in una delle sedici caselle con molta fatica: ce l’hanno fatta solo Claudia Terzi, Silvia Piani e Martina Cambiaghi della Lega, Melania Rizzoli di Forza Italia, Lara Magoni di Fratelli d’Italia.
E andando a vedere i quattro sottosegretari, qui di donne non ce n’è nemmeno mezza. Quote rosa non rispettate, sostengono Angela Ronchini e Donatella Martini delle associazioni “Articolo 51 – Laboratorio di democrazia paritaria” e “DonneInQuota”, che annunciano ricorso al Tar: “Siamo in presenza di un pervicace e strumentale maschilismo politico, che sfocia nella discriminazione di genere delle istituzioni lombarde”.
Le stesse associazioni nel giugno del 2012 ottennero una sentenza del Consiglio di Stato che dichiarava illegittima la giunta in cui Roberto Formigoni aveva chiamato una sola donna a fronte di quindici uomini. Numeri che non rispettavano quanto previsto dallo stesso Statuto regionale, dove si legge che “la Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo”, cioè nella giunta.
Un riequilibrio di certo non garantito da una sola donna, ma che – scrivevano i giudici – va inteso come “uguaglianza, o sostanziale approssimazione ad essa, di uomini e donne nelle posizioni di governo regionale”. Non ci fu niente da fare per gli avvocati del Pirellone, che volevano far passare questo concetto: gli assessori dovrebbero essere una scelta politica del governatore. Per i giudici, invece, “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo”. Principi, per l’appunto, messi nero su bianco nello Statuto regionale.
Formigoni, ancora prima che arrivasse la sentenza del Consiglio di Stato a fargli cadere la giunta, si era premurato di aggiungere un assessore e un vice donna. Le associazioni fecero di nuovo ricorso e i numeri furono di nuovo bocciati dal Tar a fine 2012. Ma erano ormai i giorni in cui il destino del Celeste era segnato dagli scandali della sanità più che dai problemi delle quote rosa.
In ogni caso chi è salito a Palazzo Lombardia dopo di lui, Roberto Maroni, ha ritenuto la questione talmente spinosa da varare in prima battuta una giunta perfettamente paritaria: sette uomini e sette donne, proporzione ritoccata in otto a sei in corso d’opera. Con le quote rosa meglio non scherzare, dunque. Lo sa bene anche Gianni Alemanno, che già nel 2011, da sindaco di Roma, si era visto azzerare dal Tar la giunta con una sola donna su dodici assessori. E a nulla era servito aggiungerne una, poi ancora un’altra: di nuovo bocciatura del Tar.
Ora vedremo che ne sarà delle scelte di Fontana. Nemmeno il tempo di partire, e subito il neo governatore si è tirato dietro le polemiche per l’esclusione dalla giunta di una donna in particolare: l’azzurra Silvia Sardone, super votata alle elezioni ma con una recente contestazione della Corte dei Conti su un presunto danno erariale da oltre 240mila euro per quando guidava l’agenzia provinciale Afol. E poi il ricorso per quell’11 a 5 che le due associazioni non giudicano per nulla equilibrato.
Se tra uomini e donne nemmeno questa volta ci sia “uguaglianza o sostanziale approssimazione a essa”, lo decideranno i giudici.