“L’acquisto di Villa Certosa? Un furto, una rapina. Lo venni a sapere quando ero in carcere a Parma e mandai telegrammi a Berlusconi, Dell’Utri, Confalonieri, diffidandoli dal comprarla. Diedero al mio assistente Emilio Pellicani mi pare 800 milioni di lire, ma non corrispondevano neanche a un ventesimo del suo valore”.
In una lunga intervista a Fq MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da domani, Flavio Carboni racconta cinquant’anni nel “mondo di mezzo”, là dove si incontrano politica, imprenditoria e criminalità. Condannato per il crac del Banco Ambrosiano, assolto per la morte di Roberto Calvi (“Indiscutibilmente non è omicidio, se no che lo provino”, si inalbera), riconosciuto colpevole in primo grado per la P3 (“Non l’ho organizzata io”, assicura), Carboni si sofferma su rapporti con l’attuale leader di Forza Italia, risalenti agli anni Settanta, alle prime speculazioni immobiliari in Costa Smeralda: “Eravamo ragazzi, ci siamo presi subito. Cominciai col vendergli, nel ’72, centomila metri cubi nel cuore di Porto Rotondo”.
Nelle lottizzazioni in Costa Smeralda, con Carboni operarono nomi di peso della criminalità organizzata, a partire da Pippo Calò, il “cassiere” della mafia corleonese che allora agiva sotto il falso nome di Mario Aglialoro. Conosciuto a Roma, al pari di pezzi da novanta della mala romana come Domenico Balducci ed Ernesto Diotallevi, al “mercato dei soldi” di Campo de’ Fiori, dove in quegli anni gli usurai operavano alla luce del sole: “Era una sorta di istituzione a cui ricorrevano molti costruttori, ma anche professionisti e uomini dello Stato. Io stesso ci sono andato con funzionari di Polizia e magistrati”, ricorda. L’alto e il basso, il mondo di mezzo a far da collante. Francesco Cossiga? “Avevamo un legame fraterno, l’ho frequentato sia prima che dopo il crac Ambrosiano. Anche quando era ministro dell’Interno e poi presidente della Repubblica”. E le entrature ai vertici del Vaticano, la collaborazione con Francesco Pazienza, agente del Sismi.
E oggi? Fq MillenniuM propone il ritratto di Giovanni Calabrò, protagonista della truffa del nichel che ha la sua vittima più illustre nel Comune di Roma (gestione Alemanno): da un lato, la parentela con lo ’ndranghetista reo confesso della strage dei carabinieri a Scilla nel 1994, dall’altro la frequentazione con Marina Berlusconi a Montecarlo e con il governatore ligure Giovanni Toti. Poi il reportage da Tor San Lorenzo, alle porte di Roma, dove tra ville-fortezza abusive e cimiteri di auto spolpate si concentrano mafie di varia estrazione.
Nel mito di Frank “Tre dita” Coppola, che negli anni Cinquanta lì costruì con i soldi della neonata Cassa del Mezzogiorno, grazie alla provvidenziale soffiata di politici amici. Uno dei quali, di alto livello, “chiamò mio nonno per chiedere se poteva dare una mano a cercare Aldo Moro”, ricorda il nipote Francesco Paolo Corso, esponente locale del centrodestra. Misteri? No, segreti, precisa lo scrittore Carlo Lucarelli. I misteri riguardano l’insondabile. Il segreto – sulle stragi, su Moro, su Gelli… – “è qualcosa di molto più umano, fisicamente tangibile, magari redatto nero su bianco in triplice copia chiuso nel cassetto di qualche scrivania in qualche ufficio”.