C’è chi si inventa una consulenza, chi continua a intascare il vecchio stipendio da dirigente, chi si fa pagare il distacco dal ministero. I presidenti delle Federazioni sportive sono dei campioni nel salto al tetto dello stipendio: 36 mila euro l’anno non bastano. Così dalle bocce al taekwondo, dall’hockey al motociclismo, c’è modo di guadagnare il doppio o pure il triplo del previsto. Tanto paga (anche) lo Stato.
Eppure la regola è chiara: nel 2013 Giovanni Malagò ha introdotto un’indennità per i presidenti, per superare il sistema dei rimborsi (dove ne succedevano di tutti i colori) ed elargire un contentino a chi lo aveva eletto. Non molto (di più non si poteva: il ministero dell’Economia non avrebbe dato l’ok), ma almeno un’entrata sicura, uguale per tutti: 36mila euro lordi, circa 1.400 al mese, “in via strutturale ed esclusiva”. Non un centesimo di più. Fatta la legge, però, trovato l’inganno: basta rinunciare al contributo per avere di meglio. Quando l’ultima giunta Coni si è riunita per stanziare i fondi (1,2 milioni in totale), ha scoperto che per sette Federazioni “non sussistono i presupposti”.
Prendiamo il taekwondo (Fita): nel 2016 è stato eletto Angelo Cito, che però era già segretario e dirigente, per nulla entusiasta di rinunciare al suo stipendio vicino ai 100mila euro l’anno. Per superare il problema di una “remunerazione assolutamente insufficiente” (come si legge nei verbali dell’epoca), il consiglio federale aveva pensato di riconoscergli una buonuscita addirittura da un milione di euro, così da lasciare il posto e diventare presidente. La transazione fu bloccata dalla vigilanza Coni, che però ha dato il via libera al doppio ruolo. Così Cito fa il presidente ma guadagna da dirigente, con buona pace dei 36mila euro: “Se lo faccio, vuol dire che si può fare”, spiega. Lapalissiano. C’è un precedente, del resto: pure Domenico Falcone, n. 1 del judo (Fijlkam), è dirigente della Federazione che presiede. “Alla morte del presidente Pellicone mi è stato chiesto di raccogliere la sua eredità: ho accettato ma non potevo perdere lo stipendio”. Anche lui viaggia sulle stesse cifre: “Onestamente non so se sia giusto o meno”.
Una soluzione potrebbe essere mettersi in aspettativa per l’arco del mandato, ma non se ne parla. Situazione simile per Marco Giunio De Sanctis, uomo forte del Comitato paralimpico: dall’anno scorso è diventato presidente della Federazione Bocce, ma continua a prendere lo stipendio dal Cip (responsabile del Tre Fontane e del Centro studi, per poco meno di 140mila euro annui). Il Coni per questo gli ha bloccato l’indennità, ma lui non ci sta. “Non c’è nessuna incompatibilità (il Cip ora è un ente pubblico autonomo, ndr), quei soldi mi spettano”.
Altro che carica onorifica: fare il presidente di uno sport, anche minore, è diventato un mestiere. Giovanni Copioli, n. 1 del motociclismo, appena eletto ha ricevuto dal suo consiglio federale l’incarico di capo del Settore tecnico-sportivo: circa 60-70mila euro l’anno, quasi il doppio dell’indennità a cui ha rinunciato a cuor leggero. “È il riconoscimento di un lavoro difficile, con responsabilità penali”. Però è anche un precedente pericoloso: qualsiasi disciplina potrebbe creare incarichi ad hoc e pagare a piacimento il presidente con soldi pubblici (oltre la metà delle Federazioni si regge per il 60% o più su contributi statali). Nei motori c’è pure l’Autoclub, che in quanto ente pubblico prevede un compenso per il presidente Angelo Sticchi Damiani di 142mila euro (più altri 180mila euro per le cariche in Sara Assicurazioni, compagnia assicuratrice dell’Aci che ne detiene pure la maggioranza).
Infine ci sono i “distaccati”. La FederHockey ha appena stanziato 29mila euro per pagare il distacco al suo n. 1, Sergio Mignardi, professore di Educazione fisica in un liceo romano. Siamo sotto al tetto Coni (che ha sospeso l’indennità), ma vuoi mettere il vantaggio di non dover più andare a scuola ogni mattina? Percorso inverso per Carlo Beninati del badminton: lui il distacco l’aveva chiesto l’anno scorso, prima dell’elezione, a settembre tornerà in cattedra. Il trucco funziona quasi sempre: un ex presidente si faceva pagare persino la casa.
Così le eccezioni si moltiplicano e ormai si parla di rivedere l’indennità, per riportare un po’ d’ordine: c’è chi vorrebbe aumentarla, o abolirla del tutto (pochi, a dire il vero); chi propone di differenziare le Federazioni per fasce, di legare la retribuzione a degli obiettivi, o di stabilire una base uguale per tutti e una parte integrativa con fondi privati. Quelli pubblici non sono mai abbastanza.