La scena madre, raccontano, è stata questa. Due contro uno. I giovani “Matteo” e “Giorgia” contro l’Ottuagenario “Silvio”. I primi due al terzo: “Caro Berlusconi se andiamo insieme al Quirinale è per evitare quello che è accaduto giovedì scorso: Fratelli d’Italia e Lega in una direzione e tu nell’altra”. Il retropensiero di Matteo Salvini e Giorgia Meloni su B. ieri ad Arcore è stato poi esplicitato così: “Sia chiaro che noi accordi con il Pd non ne facciamo”. Punto.
Arcore, domenica pomeriggio. I tre leader del centrodestra si rivedono per un vertice che poi dalla Lega stroncano in modo netto: “Un vertice inutile”. In ogni caso un vertice sul breve periodo che serve a blindare la delegazione unitaria per giovedì prossimo al Quirinale, al secondo giro di consultazioni del capo dello Stato. E forse sarà il solo Salvini a parlare al termine del colloquio. Queste le uniche certezze.
Gli schemi usciti dalla riunione sono ufficialmente due, destinati però a convergere in uno solo. Nel comunicato congiunto dei tre (stilato da Meloni) si rivendica un “presidente del Consiglio espressione dei partiti di centrodestra” che vada a cercarsi i voti in Parlamento grazie a nuovi Responsabili da convincere uno per uno. In pratica, un governo di minoranza senza numeri certi che difficilmente il presidente Sergio Mattarella potrebbe far partire. Subito dopo però ci ha pensato lo stesso Salvini a chiarire il sentiero da percorrere: la ricerca, cioè, di un’intesa (improbabile) tra centrodestra e Cinquestelle.
Ai pentastellati, già in settimana, il leader della Lega potrebbe offrire un accordo che preveda dieci punti e che comprenda Forza Italia ma non Berlusconi. Ma sul tavolo c’è un’altra condizione indigesta per Luigi Di Maio, a parte il Condannato sbiadito o meno: rinunciare a Palazzo Chigi (imitare quindi il passo indietro di Salvini) e puntare su un nome terzo, un leghista alla Giancarlo Giorgetti tanto per fare un nome.
Insomma l’ennesima missione impossibile che serve solo a guadagnare tempo per arrivare a fine mese, quando si terranno le regionali in Molise (22 aprile) e Friuli Venezia Giulia (29 aprile).
La stroncatura leghista del vertice di ieri, con immediata “correzione” salviniana, si spiega infatti con la sensazione che anche in questo secondo giro di consultazioni non si arriverà a nulla. Non solo: il leader leghista non ha alcuna voglia di bruciarsi con un incarico o pre-incarico che sia per un governo di minoranza. “I voti non si cercano come i funghi”, giusto per liquidare Meloni. Senza dimenticare che in agguato ci sono poi formule pasticciate, o istituzionali, che piacerebbero sì a Berlusconi ma non al Carroccio.
È il solito paradosso dell’unità elettorale e sinora politica del centrodestra. Salvini su una linea, B. su un’altra (e per nulla disposto a fare il secondo) e Meloni a mediare. Andrà avanti così almeno sino a fine mese.
Stando a quello che i tre leader hanno rivelato ai loro fedelissimi: “Se in questo secondo giro non succederà nulla di nuovo, il capo dello Stato ci darà ancora più tempo. Lo stallo durerà altre tre settimane per continuare a trattare e aspettare l’esito delle elezioni regionali in Molise e Friuli”. L’occasione, questa, per Salvini per contarsi e capire se la Lega sta continuando a mangiarsi Forza Italia. Un obiettivo possibile visto che in Friuli Venezia Giulia l’ipersalviniano Massimiliano Fedriga è favoritissimo per la vittoria finale. Solo in quel momento potrebbe verificarsi il fatidico choc o trauma per staccarsi da B. e Forza Italia e sbloccare lo stallo.
Sullo sfondo, comunque, aumentano in maniera costante le probabilità di un voto anticipato in autunno, al più tardi nel 2019 (con quale governo per gli affari correnti è ancora tutto da vedere). Salvini ne parla apertamente ormai e questo non è solo un paletto tattico. Lui e Di Maio sono vincitori “gemelli”: sanno che non possono sacrificare le loro vittorie in formule trasversali o incomprensibili. Ha detto ieri sera il leader della Lega: “Ho voglia finalmente, dopo tanti governi che non rappresentavano niente e nessuno, che ci sia un governo che rappresenti il voto degli italiani. Quindi, non un governo inventato a tavolino”. Altrimenti c’è il voto, appunto.
Doveva essere lunga questa fase e lunga sarà. La fine di aprile sarà solo il primo approdo dello stallo. A meno che da qui a giovedì tra Di Maio e Salvini non accada qualcosa di clamoroso. Ma dopo il vertice di ieri l’ottimismo non è proprio l’umore prevalente nel centrodestra.