Da più di un mese l’Italia è senza governo, eppure io mi sento benissimo. Va bene, datemi pure del qualunquista, del provocatore, del cittadino privo di senso civico che non comprende quante risposte ai bisogni degli italiani debba dare un nuovo Esecutivo. Avete ragione: è tutto vero. Eppure io non riesco a preoccuparmi.
Tra tre o quattro mesi, chissà. Ma per adesso no. Per ora apprezzo solo il calo verticale di insulti sui social e nei dibattiti politici in tv. La tranquillità (immagino apparente) del presidente Sergio Mattarella nel condurre le consultazioni e la scomparsa dalle pagine dei giornali delle facce di quasi tutti i ministri, ancora in carica solo per gli affari correnti. Mi fa effetto – in questo caso positivo – vedere Matteo Salvini che, a causa della ricerca disperata di un alleato per il centrodestra, posteggia la ruspa in garage e parla come fosse un mediatore delle Nazioni Unite. Non mi dispiace sentire Luigi Di Maio che alla fine ammette un’ovvietà: non tutto nel Pd è da buttare, accanto ai politicanti in quel partito ci sono pure tanti bravi amministratori e un sacco di elettori onesti. E anche se so benissimo quanti fili tiri ancora Matteo Renzi, mi fa piacere che non si faccia vedere in giro e che soprattutto ci risparmi il suo solito fare da “so tutto io”. Silvio Berlusconi poi per una volta mi diverte: terrorizzato dall’eventualità che in maggioranza alla fine si ritrovi chi ha fatto della legalità una bandiera (vedremo poi se ai buoni propositi seguiranno i fatti) accusa i pentastellati di pauperismo, parola ormai desueta come in fondo è desueto lui.
E le aspettative? E i programmi? E le tante promesse elettorali? Per ora, per me, sono domande senza senso. Prima del quattro marzo mi ero identificato alla perfezione con quel 75 per cento di italiani che, secondo un sondaggio Demopolis, non ci credeva. Oggi ci credo ancora meno. Sono un apota (cioè come Giuseppe Prezzolini non me la bevo) e sono contento così. Anzi, una felicità particolare la ricavo dalla lettura mattutina dei quotidiani. Scorro gli articoli di politica e provo lo stesso brivido che mi dà il calciomercato di agosto: mese che per noi interisti è spesso straordinario, visto che per la Gazzetta dello Sport in vista c’è sempre il colpaccio, il top player e lo scudetto sicuro. Non è vero, ma ci credo.
E il Def? E la manovra correttiva che ci chiede l’Europa? E il rischio dell’aumento dell’Iva? Non ci voglio pensare. Io mi godo semplicemente la quiete. Penso ai 518 giorni senza governo del Belgio, ai sei mesi della Germania, ai 208 dell’Olanda e alla Spagna, andata per tre volte alle urne nel giro di 10 mesi prima di far partire un esecutivo di minoranza. Vivido in me è del resto il ricordo degli anni passati. Quelli in cui un governo ammucchiata bisognava farlo per forza perché c’erano in ballo le riforme (oggi se qualcuno ne parla ancora rischia l’incolumità personale), il semestre europeo o un altro imprescindibile appuntamento. Superato il quale era chiaro che tutto era come prima, o peggio di prima.
Certo, pure io, come la maggioranza dei miei concittadini, voglio il cambiamento. Ma col tempo ho imparato ad apprezzare quel poco che c’è.
Carpe diem, dicevano i latini. Sì, una carpa al giorno, come dicevamo noi al liceo, è questa la soluzione. Assaporo l’attimo e faccio finta che non sia fuggente.