I“due ladri di Pisa”. È un’immagine classica del teatrino della politica. Di giorno si litiga. E di notte si tratta. Indi, ricomincia tutto daccapo, provocando rabbia ed esasperazione tra chi assiste a questo spettacolino stucchevole. I “due ladri di Pisa” è una metafora che riecheggia soffusa anche al Quirinale, dove siede lo spettatore più autorevole e paziente di questo teatrino. I “due ladri” sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini e le loro “furbizie tattiche” hanno stancato il capo dello Stato ben oltre una soglia ragionevole di comprensione. Al Colle l’umore volge decisamente al nero già da giovedì sera, come registrato dal Fatto di ieri, a maggior ragione dopo un pesantissimo venerdì, in cui il flop dell’esploratrice Elisabetta Casellati è stato accentuato dalle nuove tensioni tra Berlusconi e Salvini. Il primo che apre al Pd e insulta i grillini, il secondo che si dice pronto a “trarne le conseguenze”.
Dichiarazioni, non fatti. Annotano con scrupolo al Colle. Del resto non è la prima volta che i due hanno fatto parlare di “centrodestra frantumato”. È accaduto sulle presidenze delle Camere, in una notte in cui prima B. dichiarò guerra alla Lega in difesa della candidatura di Paolo Romani alla presidenza del Senato. Poi fece pace con Salvini sul nome di Casellati.
Anche su questo, il presidente della Repubblica rifletterà da oggi a lunedì, quando ci sarà lo spoglio delle regionali in Molise, la prima “tappa” dei tatticismi salviniani nella trattativa con il M5s.
In ogni caso sul tavolo di Mattarella non ci sarebbe più l’opzione del pre-incarico a Salvini o a un altro esponente del centrodestra. Questo schema è morto, ormai. Vale sia per il leader leghista, che giovedì sera ha annunciato di voler “scendere in campo”. Sia per l’ex Cavaliere che ha pubblicamente aperto al Pd.
Resta però il filo sempre esile che porta a Lega e Cinquestelle, cioè ai “due ladri di Pisa”. Ovviamente tutto può succedere da qui a lunedì. Cioè che Salvini e Berlusconi rompano non solo a parole. Per il momento segnali concreti dalla Lega non ne arrivano in merito. Nonostante l’irruzione sulla scena politica della clamorosa sentenza sulla Trattativa tra Stato e Mafia e che conferma le tenebre inquietanti che avvolsero la nascita di Forza Italia. Su questo, ieri, Salvini non ha detto una sola parola. Né di solidarietà a Forza Italia, né nella direzione auspicata dai grillini.
Eliminata la possibilità di un pre-incarico – in base al colloquio avuto ieri con Casellati dopo la due giorni di esplorazione della presidente del Senato – e rimasto ancora in sospeso, a 48 giorni dalle elezioni, lo schema tra Cinquestelle e Lega, la carta su cui il capo dello Stato concentrerà la sua attenzione è il mandato esplorativo al presidente della Camera, Roberto Fico.
Dopo due consultazioni al Colle e il “giro” di Casellati, dovrebbe essere Fico l’uomo della quarta settimana dello stallo, a far data dal primo giorno di Mattarella a colloquio con i partiti, il 4 aprile scorso. La mossa del presidente della Repubblica è simmetrica a quella fatta con Casellati. A lei, espressione del berlusconismo e del centrodestra, è stato dato il compito di smuovere qualcosa tra i due schieramenti che l’hanno eletta.
A Fico, invece, che incarna l’anima di sinistra del grillismo, dovrebbe essere consegnato dal Colle un perimetro diverso: esplorare il nuovo terreno tra Pd e Cinquestelle. Ieri sera, però, al Quirinale è spuntata un’altra valutazione. Quella di inserire nel perimetro anche l’ipotesi dello schema M5s-Lega. In fondo chi meglio di un esploratore grillino può fare chiarezza sulla linea andreottiana di Di Maio con i cosiddetti due forni?
La prossima settimana, infatti, conduce all’ultima scadenza “regionale” indicata da Salvini a Di Maio: il Friuli Venezia Giulia. E senza dimenticare che solo l’accordo con la Lega darebbe a Di Maio la certezza di avere l’incarico per formare un governo e andare a Palazzo Chigi. Sempre che il capo del Carroccio rompa con l’ex Cavaliere.
Questi sono gli scenari esaminati al Colle, dove l’unica “consolazione” è che la fine di aprile rappresenta la chiusura della finestra elettorale di giugno. Un problema in meno.