In un articolo pubblicato sulla sua rubrica quotidiana, l’Amaca, a proposito del bullismo a scuola, Michele Serra ha ricondotto fenomeni come quelli dei tre ragazzi di Lucca filmati mentre si scagliavano contro un inerme professore, alla provenienza sociale, affermando, tra l’altro, che “non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore”.
Il perverso meccanismo dei “social” ha lapidato l’affermazione del giornalista di Repubblica, ascrivendola a un atteggiamento tipico della “borghesia colta e radical”, che caratterizza la sinistra italiana. Serra si è giustificato con un secondo articolo, apparso domenica 22 aprile, in cui si è meravigliato delle critiche che, a suo dire, hanno letteralmente capovolto il senso delle sue parole: “È diventato ‘contro il popolo’ – scrive – ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento ‘a favore del popolo’: denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l’educazione)”. L’intento dello scrittore, dunque, sarebbe stato quello di evidenziare la debolezza sociale e culturale di una classe e non certo additarla a ricettacolo del male dei nostri tempi. Il prodotto giornalistico sarebbe stato coerente con le intenzioni, però, se Serra avesse guardato meglio la realtà senza farsi guidare da una impressione. La realtà, sempre difficile da rintracciare, è desumibile in questo caso da un’analisi Istat del 2014, l’ultima disponibile, in cui si legge: “Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado; oltre il 22 per cento del collettivo dichiara di aver subìto prepotenze più volte al mese.
I liceali si mantengono di poco sotto la media in merito alle azioni ripetute di bullismo (19,4 per cento), ma solo nel 45,5 per cento dei casi dichiarano di non essere mai stati oggetto di comportamenti vessatori (quota che è più contenuta anche di quella riscontrata tra quanti frequentano la scuola secondaria di primo grado: 46,2 per cento). Una minore presenza (sottolineatura nostra, ndr) di fenomeni di bullismo si riscontra, invece, tra quanti frequentano gli istituti tecnici: il 16 per cento dichiara di aver subìto più volte al mese azioni di bullismo, ma oltre il 50 per cento di questo collettivo sostiene di non averne subite neanche sporadicamente”. L’analisi sottolinea anche che il bullismo è più frequente al Nord che al Sud e, anche se non banalizza il dato delle zone più disagiate, la differenza tra queste e le zone più benestanti, circa il 2 per cento, non è tale da giustificare un’intera teoria. Si potrebbe certamente sostenere che questi dati riguardano il bullismo tra i ragazzi e non quello contro i professori, ma è difficile disgiungere i due fenomeni.
Astraendosi dai dati di fatto, quindi, Serra sembra vittima non di bullismo ma di un pregiudizio, quello per cui sono i figli dei “poveri” a macchiarsi di “aggressività” e “indisciplina”. Le cose sono più complicate.