Trentasette ricercatori ogni mille abitanti. Trieste ha il record europeo. In Italia sono 4,9, ma anche nella virtuosa Finlandia non si superano i 15. In tutto un esercito di 10.400 tra ricercatori e docenti sparsi in città. Quasi il 5% della popolazione. Camminando per il Carso, vicino a Basovizza, vedi i sentieri di pietra bianca che incrociano il grande impianto del sincrotrone. Incontri ragazzi che sudano e corrono parlando decine di lingue diverse. E pensi che dentro quelle teste scarmigliate, oltre i visi paonazzi ci sono cervelli intenti a pensare atomi che si scontrano, elettroni in corsa alla velocità della luce. È il tesoro di Trieste: la scienza che diventa patrimonio della città ed esce anche dai laboratori.
Davanti ai centri di ricerca trovi la bandiera italiana, ma anche quella delle Nazioni Unite. Il primo forse è stato l’International Centre for Theoretical Physics (Ictp) fondato da Paolo Budinich e dal pakistano Abdus Salam. Ricerca pura. Salam per le ricerche sugli elettroni deboli nate qui vinse il Nobel. Poi c’è l’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb) che ha sedi a Trieste, New Delhi e Johannesburg. Ricerca che parla con l’industria, anche. Come alla Sissa (Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati), un palazzone arrampicato sulle alture con le grandi vetrate affacciate su Trieste: “Siamo un’istituzione universitaria post laurea”, spiega il direttore Stefano Ruffo. Nei laboratori incontri il mondo: due terzi dei ricercatori arrivano da 40 paesi diversi. Su un bilancio di 30 milioni l’anno (la metà destinata alla ricerca), ben 10 arrivano da bandi internazionali vinti dalla Sissa. Ecco gli studi sulle eliche delle navi (in città ha sede Fincantieri) e gli accordi con Google. Mentre un gruppo di ricercatori studia nuovi materiali che trattengono energia imitando la funzione clorofilliana. “Siamo uno dei pochi centri al mondo dove studiano anche ricercatori nordcoreani”, racconta Ruffo. Ricerca pubblica, attirando studiosi stranieri? “Si può, utilizzando per i bandi competitivi le stesse regole previste per le università”.
Poi, appunto, si sale sul Carso. Intorno i boschi, il campanile di un paese di poche case. All’improvviso la costruzione futuristica del sincrotrone Elettra. Accanto il nuovo acceleratore laser Fermi, tra i più avanzati al mondo. “Gli elettroni vengono sparati al 99,99% della velocità della luce”, racconta Marco Peloi, responsabile del Trasferimento Tecnologico di Elettra, collegamento tra ricerca e industria. A che diavolo serve sparare elettroni? “Mentre corrono nell’anello d’acciaio, ne deviamo la corsa con i magneti. Curvando producono una luce purissima”. Quel lampo consente di vedere dove le altri luci non arrivano. Permette di distinguere la composizione dei materiali. Con Elettra si studiano nuovi mezzi per individuare i tumori. Si effettuano analisi dei terreni contaminati.
“Intanto all’università – racconta il professor Paolo Gallina – abbiamo sviluppato un robot che partecipa al concorso in America per il miglior robot pittore del mondo”. Trieste nel 2020 sarà la capitale europea della scienza (Esof). Un altro passo. La grande occasione è il vecchio porto, se non sarà sprecata per farne un baraccone di centri commerciali e residenze.