In attesa del nuovo governo, i parlamentari incassano il primo stipendio e maturano la pensione. E guai a parlare di privilegi, ché ti becchi un bello schiaffone (ex ministro Mario Landolfi docet). A un politico puoi chiedere tutto, stuzzicarlo su alleanze e incoerenze, ma se t’azzardi a fargli i conti in tasca… diventa una belva.
La situazione è nota: per i comuni cittadini i “diritti acquisiti” non valgono e le loro pensioni sono state falcidiate con la Legge Fornero, tant’è che oltre il 70% dei pensionati italiani è sotto i mille euro e 11 milioni su 17 – 2 su 3 – addirittura sotto i 750; sono invece “inalienabili” i diritti di migliaia di ex parlamentari ed ex consiglieri regionali, che ci costano ogni anno centinaia di milioni.
Solo per ex deputati ed ex senatori quest’anno sborseremo 207 milioni, a fronte di appena 37 versati in contributi, meno di un quinto. Ben vengano allora l’allarme del presidente Inps Tito Boeri e l’istruttoria avviata dal presidente della Camera Roberto Fico, per adeguare anche i vitalizi sfuggiti alla riforma Monti 2012 al sistema contributivo, come per tutti i dipendenti pubblici. Ben venga una semplice delibera dell’ufficio di Presidenza, invece di aspettare (invano) una legge ordinaria, come la Legge Richetti. Ben venga il risparmio di 150 milioni l’anno, anche se non è solo un problema di quanto si risparmi, ma anche e soprattutto di quanto la politica dimostri di condividere i sacrifici che poi chiede agli italiani. Sì, perché quando si tratta di spremere e fare cassa, siamo primi: già oggi, con la Fornero, in Italia si va in pensione in media 4 anni più tardi del resto d’Europa (66 anni e 7 mesi) e dal 2019 scatterà quota 67, contro i 65 della Germania (che a 67 arriverà nel 2030, 11 anni dopo di noi) e i 60 della Francia.
Soglie che certo non valgono per i parlamentari: gli eletti dopo il 2012 potranno incassare il loro sostanzioso assegno (hanno già maturato circa mille euro netti al mese) a 65 anni o, se rieletti adesso, a 60. Sette anni prima degli italiani! Sempre che non facciano ricorso per incassarlo prima e vincano, com’è successo a Landolfi, Italo Bocchino e altri.
Un precedente pericoloso: già non riusciamo a tagliare i vitalizi sfuggiti alla riforma, se mettiamo in discussione pure quella, be’ non resta che gettare la spugna. E gli oneri figurativi? Sacrosanto che un lavoratore, una volta eletto, non perda il lavoro e possa andare in aspettativa non retribuita chiedendo contributi figurativi, così da non trovarsi a fine mandato con un “buco”.
Ma – ha ancora ragione Boeri – è indubbio che un principio legittimo sia diventato un privilegio: per durata (a quale lavoratore comune vengono concessi contributi figurativi per 20-30 anni come a un politico?); costo (pagano l’Inps o le Casse di Previdenza, cioè la collettività; interamente fino al 2000, in gran parte – quella del datore di lavoro, pari al 24% della retribuzione – dal 2000 in poi); e alla fine voilà la doppia pensione, da parlamentare e dal vecchio lavoro, pagata in buona parte da tutti noi.
Replica: tutto corretto. Se è così, come mai le Camere non hanno fornito a Boeri i dati sui contributi effettivamente versati dai singoli parlamentari, chiesti nella passata legislatura?