“Qualsiasi governo con il M5s dovrà mettere al centro il recupero della dignità del lavoro. E la sinistra ha oggi un’occasione storica per chiudere una stagione di errori”. In vista del 1° maggio, il ministro del Lavoro in pectore dei 5Stelle, Pasquale Tridico, 42 anni, professore di Economia del lavoro a Roma Tre, traccia il bilancio di un ventennio di politiche sbagliate, sperando in una svolta. “Non sono un militante, ma un tecnico prestato alla politica”, premette questo economista keynesiano di sinistra, naturalmente incline a guardare con interesse al dialogo con il Pd.
Come si può recuperare la “dignità del lavoro”?
Recuperando salari e stabilità del posto perdute in questi anni; riducendo le diseguaglianze, oggi ai livelli più alti tra i Paesi avanzati. La disoccupazione al Sud è al 25%, a livello nazionale è all’11; 3 milioni di inattivi scoraggiati: una Repubblica “fondata sul lavoro” non può permetterselo.
Come si è arrivati a questo?
È stato un ventennio disastroso. L’Italia ha scelto di competere svalutando il lavoro. Il contesto europeo non ha aiutato, lo dico da europeista: all’interno del cambio fisso dell’euro, con mobilità dei capitali, limitazione alla politica fiscale e indipendenza della politica monetaria nelle mani della Bce, un Paese viene spinto verso la facile leva delle politiche del lavoro, e ci si è accaniti. Il tessuto produttivo, fatto al 90% di piccole imprese, è andato avanti senza innovare sfruttando il più basso costo del lavoro. La conseguenza? Crollo della produttività, milioni di precari e salari stagnanti da 20 anni. Altri Paesi hanno tutelato meglio i lavoratori col modello della “flexicurity”.
Come se ne esce?
Pensando al lavoro del futuro, qualificato, ben retribuito e a maggiore apporto tecnologico. Ma in Italia servono dei passi indietro
In che senso?
Rimediare agli errori. Finora i governi, a partire dal pacchetto Treu del ’97 hanno aumentato la flessibilità in entrata; il Jobs Act l’ha aumentata pure in uscita e la liberalizzazione del lavoro a termine con il decreto Poletti ha ulteriormente precarizzato le condizioni dei lavoratori. Se nel 2017 abbiamo avuto 4 contratti nuovi su 5 a termine, è chiaro che l’obiettivo del Jobs Act, creare lavoro stabile, non è stato centrato e bisognerà intervenire. Lo dico da tecnico. Le ricerche scientifiche, anche del mio amico Andrea Roventini, ci dicono che le imprese investono in capitale umano se i lavoratori sono più stabili. Questo aumenta la produttività, con investimenti mirati e rispettosi dell’ambiente, come l’altro collega e amico, Lorenzo Fioramonti suggerisce.
Per il Pd il Jobs Act è intoccabile. Farete voi un passo indietro?
La negoziazione non spetta a me. Il M5s vuole reintrodurre l’articolo 18 per ridare dignità ai lavoratori. Abolirei pure il decreto Poletti. Ma la riforma ha anche cose buone, come la Naspi. Apprezzo anche la strategia dietro Industria 4.0. Il Rei è un punto di partenza che si può far convergere verso il reddito di cittadinanza. Anche sulla critica al Fiscal Compact c’è convergenza. Si dovrebbe spingere verso un sussidio di disoccupazione europeo che limiterebbe gli squilibri macroeconomici. Nel Pd alcuni, come Cesare Damiano, vogliono alzare le tutele dal licenziamento illegittimo. I margini ci sono: la sinistra riparte dialogando.
Cos’altro si può fare?
Il lavoro stabile si stimola con gli investimenti, soprattutto al Sud, dove ci sono i principali problemi, e dove bisogna indirizzare almeno il 34% delle risorse ordinarie come dice la Svimez. Il governo uscente ha recuperato questa buona norma, ma gli investimenti restano bassi, al 28%. Anche sulle tutele ai lavoratori della Gig economy c’è convergenza. Noi proponiamo un salario minimo di 9 euro l’ora per le categorie non coperte dalla contrattazione nazionale. E bisogna ridurre l’orario di lavoro a parità di salario nei settori più automatizzati, con sconti fiscali alle imprese, stimolando la produttività con investimenti e incentivi alle assunzioni dei giovani.
Finora il Pd con il M5S ha condiviso solola critica al sindacato.
Va invece tutelato. È stato fondamentale nell’emancipazione dei lavoratori e l’evidenza empirica mostra che laddove è stato indebolito, salari e protezioni sono calati e le disuguaglianze sono aumentate. Non a caso gli Usa hanno avuto l’aumento più alto delle disuguaglianze.
Il Pd pare avere già chiuso al dialogo…
La sinistra sembra aver abbandonato il suo mondo di riferimento. Negli ultimi decenni, i partiti operaisti si sono spostati verso la tutela dei ceti più ricchi, trascurando le classi meno abbienti. Ma oggi il Pd ha l’opportunità di rivedere alcune posizioni grazie al M5s che ha riportato il lavoro, la povertà, la disuguaglianza e il Sud al centro del dibattito. Sono il bagaglio culturale della sinistra, le sue battaglie. Si possono recuperare, come ha fatto Corbyn in Inghilterra dopo il blairismo. Molti hanno accostato il M5S al Pci di Berlinguer e a Pertini, che vedevano nella dignità del lavoro e nella questione morale il fondamento della Repubblica. È un’occasione storica, non sprechiamola.