Una sola cosa, nel caos generale, è certa: oggi avremo i dettagli del governo targato 5Stelle-Lega, oppure di quello “neutro” e “di servizio” targato Mattarella. E dunque sapremo se le elezioni sono vicine o lontane. Intanto già sappiamo che, comunque vada, sarà un pastrocchio. Perché da che mondo e mondo, persino nel Paese più bizantino dell’Occidente, i governi devono avere una maggioranza (o una minoranza, se destinati alla sfiducia o alla non sfiducia) chiara. E tutto si può dire sia del governo Di Maio-Salvini, sia del governo Mattarella, fuorché nascano all’insegna chiarezza. Il governo “neutro” altro non è che un ministero tecnico alla Monti, benedetto dal Quirinale e chiamato a scelte squisitamente politiche (Iva, svuotacarceri, intercettazioni, nomine Rai e Cdp…). Con la differenza, rispetto a Monti, che questo partirebbe già morto perché l’unico partito disposto a votarlo è il Pd, quello che giurava opposizione a tutto e tutti. Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto.
Finora Di Maio aveva condizionato l’accordo con la Lega alla rottura del centrodestra, “coalizione finta”, cioè al divorzio tra Salvini e l’imbarazzante alleato. “Salvini scelga fra restaurazione e rivoluzione”, aveva detto, spiegando che “con Berlusconi non si potrà mai cambiare nulla”. Perfetto. Senonché ieri il Caimano, sfoggiando il suo ultimo travestimento, ha fatto sapere che Salvini può fare il governo con i 5Stelle – che lui considera peggio di Hitler e manderebbe tutti a lavare i cessi di Mediaset – senza rompere la coalizione di centrodestra. Deciderà poi lui, dopo aver visto il premier e i ministri, cosa farà FI: se darà l’appoggio esterno astenendosi (“astensione critica”, anzi “benevola”: ahahahah) o non partecipando al voto, o addirittura voterà contro il governo dell’alleato e passerà all’opposizione (finta, visto che la coalizione resterebbe intatta con Salvini leader). Una pagliacciata mai vista neppure in Italia. Tipo quei bei matrimoni dove il marito autorizza la moglie a mettergli le corna, e magari si diverte pure a guardare da dietro la porta. E questa sarebbe solo la parte visibile dell’accordo. Poi, come sempre quando c’è di mezzo B., c’è quella invisibile. Che è ancora peggio: oscena, nel vero senso della parola (fuori scena). Per scoprirla basta porsi una domanda: perché oggi B. autorizza Salvini a fare ciò che per oltre due mesi gli ha furiosamente proibito?
Delle due l’una. O solo perché ha paura del voto. O anche perché ha ottenuto quelle “garanzie” che ha sempre preteso dai governi non suoi per non scatenare la guerra termonucleare: favori a Mediaset e nessuna norma contro le quattro ragioni sociali della sua banda (corruzione, evasione fiscale, mafia e conflitto d’interessi). E chi può avergliele date? Ovviamente Salvini che, con Di Maio, tratta per conto di tutto il centrodestra. E qui casca l’asino con tutta la foglia di fico: trattare con Salvini-e-basta è un conto, trattare con Salvini che tratta anche per conto di B. è tutt’altro. Un governo M5S-Lega-e-basta, oltre alle tante controindicazioni (dalla xenofobia di Salvini&C. al passato ignobile di un partito appiattito da 18 anni sugli affari di B. alle proposte demenziali tipo flat tax), almeno un vantaggio ce l’avrebbe: l’estraneità del Carroccio salviniano (l’inciucione Giorgetti è già tutt’altra cosa) a molte delle mille lobby che bloccano l’Italia e che han sempre trovato protezione all’ombra di Pd&FI. Ma proprio qui sta il punto: Salvini ha le mani libere o no? L’ultima giravolta di B. fa sospettare di no. E un governo che nasce sul non detto è destinato a non fare. In ogni caso, se nascerà, lo capiremo subito. Dal nome del premier, e soprattutto da quelli dei ministri della Giustizia e delle Telecomunicazioni. E dal testo del “contratto” fra i due alleati: se recepirà le storiche battaglie del M5S contro i conflitti d’interessi, le concentrazioni televisive e pubblicitarie, la corruzione, la prescrizione e le mafie, e anche l’ottimo proposito annunciato da Salvini in campagna elettorale di “mandare in galera gli evasori”, sapremo che B. è davvero fuori gioco e ha subìto il governo M5S-Lega per il terrore del voto, senza contropartite.
Se invece avrà ministri forzisti travestiti da leghisti o da tecnici “di area”, più posti in prima fila nel nuovo Cda Rai e nel nuovo Csm, oltre alle commissioni di garanzia che gli spetterebbero come (finto) oppositore (Vigilanza Rai? Antimafia?), e se le leggi contro ogni malaffare che attendiamo invano da 25 anni sparissero dai radar, vorrà dire che B. non è affatto “esterno”: è più che mai interno, tipo cetriolo. Ma c’è anche una terza ipotesi: che Salvini e B. siano d’accordo a menare il can per l’aia, facendo partire il governo e poi rinviando alle calende greche le scelte scomode (per B.), contando sull’istinto di sopravvivenza dei parlamentari e rendendo vieppiù impopolare una rottura. La cui colpa ricadrebbe sul M5S gabbato. Per la gioia del Pd renziano, che infatti ieri sprizzava gaudio da tutti i pori per un governo che lo lascerebbe solo all’opposizione a lucrare sugli auspicati litigi e pasticci di un governo tanto eterogeneo. Al momento, con tutte queste ambiguità, il governo M5S-Lega conviene a Lega, B. e Pd, ma non al M5S e – quel che più conta – neppure agli italiani. Starà all’abilità di Di Maio rinunciare a ruoli ministeriali e guidare il gruppo parlamentare per stanare Salvini, incalzare il governo sul contratto e staccargli la spina al primo cenno di tradimento o di logoramento. Peggio delle larghe intese ci sono soltanto le larghe fraintese.