Sono passati 25 anni ma ancora spuntano fatti nuovi sull’attentato contro Maurizio Costanzo. L’ultima novità è che c’era anche Matteo Messina Denaro con Giuseppe Graviano a guardare il Costanzo Show per spiare le mosse del conduttore di Canale 5, molto prima dell’attentato del 1993. La Dia ha trovato una fotografia, ora agli atti delle nuove indagini su Giuseppe Graviano, per l’ipotesi di minaccia a corpo dello Stato, la stessa del processo Trattativa.
Tra due giorni ricorre l’anniversario dell’attentato che poteva costare la vita a Maurizio Costanzo e a sua moglie, allora fidanzata poco nota, Maria De Filippi. Ma non solo a loro. Poco prima dell’esplosione in via Fauro ai Parioli, infatti, erano passati un gruppo di amici e le telecamere di sorveglianza mostravano anche un ragazzo, poi identificato, che stava aspettando un’amica e si era appoggiato alla Fiat Uno che di lì a poco saltò in aria. L’auto, rubata a una signora qualche sera prima, era stata imbottita di tritolo e nascosta per la notte in un magazzino nel centro commerciale Le Torri.
I palazzi di via Fauro e dintorni furono devastati dall’esplosione e – secondo i periti – i danni furono contenuti dalla presenza di una conduttura con un tombino che diede sfogo alla carica. Solo per un miracolo nessuno morì. Maurizio Costanzo e Maria De Filippi si salvarono perché i killer furono traditi da un cambio di auto: il solito autista, che usava una Alfa Romeo 164, quella sera stava male e chiese il cambio a un collega che usava la Mercedes. L’attimo di esitazione dei mafiosi fu vitale, nel senso letterale.
In carcere ad Ascoli Piceno dove si trovava, Giuseppe Graviano il primo dicembre 2016 trovava il coraggio di prendere in giro le vittime dell’attentato. Al compagno di detenzione Umberto Adinolfi confida: “Meschino il cane saltò. Quando c’è stato l’attentato il cane scappò e non si è fatto più vedere. Avevano il finestrino aperto e quello scappò a razzo”.
La preparazione dell’attentato a Costanzo risaliva a più di un anno prima. Totò Riina aveva deciso di colpire il conduttore televisivo dopo alcune trasmissioni dedicate alla mafia. Riina non aveva gradito soprattutto un’intervista alla moglie di un boss del clan Madonia. Nel settembre del 1991, Costanzo aveva anche realizzato una trasmissione a reti unificate assieme a Michele Santoro per commemorare l’imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia dopo essere andato in tv a dire che non avrebbe mai pagato il pizzo. Per la prima volta, Rai e Fininvest cooperavano con una staffetta antimafia. Ospite al Teatro Parioli del Costanzo Show, c’era anche il giudice Giovanni Falcone.
Proprio del magistrato ucciso a Capaci il 23 maggio 1992, parla il 24 settembre 2016 Giuseppe Graviano mentre sta passeggiando nel cortile del carcere di Ascoli con Umberto Adinolfi. “Nel 1992 a Roma, quando c’era Falcone al Costanzo – dice Graviano – dove si sedeva, c’erano otto persone. Eravamo io, palermitani, due di Brancaccio, miei, due di… (incomprensibile) che poi se ne sono andati che avevano un matrimonio e altri due che si sono fatti pentiti, uno di Castelvetrano e uno di Mazara del Vallo: Sinacori e Geraci”.
L’indagine sulle foto è partita da lì, nell’ambito dell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. I pm palermitani Vittorio Teresi, Antonino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, avevano fatto mettere le videocamere nascoste nel cortile e nella sala dove il boss Graviano poteva trascorrere le poche ore di socialità permesse dal duro regime del 41-bis. Lo scopo era proprio carpire confidenze su quella stagione di stragi e di trattativa.
Il capo del mandamento di Brancaccio è stato arrestato quando aveva meno di 30 anni, ma ha avuto un ruolo fondamentale nella stagione in cui Cosa Nostra mise in ginocchio lo Stato.
Il Capo dei Capi Totò Riina lo aveva inserito con il fratello Filippo e con il trapanese Matteo Messina Denaro all’interno della ‘Supercosa’ creata come un corpo di élite dentro Cosa Nostra.
Dopo la strage di Capaci ai danni di Giovanni Falcone, della moglie e degli uomini della scorta, realizzata da Giovanni Brusca e prevalentemente dagli uomini delle famiglie di Altofonte e San Giuseppe Jato, infatti la direzione operativa delle altre stragi passò sotto l’orbita di ‘Madre Natura’ come era chiamato Giuseppe Graviano dai suoi devoti seguaci. Il boss è stato condannato con il fratello Filippo per le stragi del 1992, ma anche per quelle del 1993 di Milano e Firenze (10 morti) e per le bombe di Roma alle basiliche, oltre che per l’attentato a Costanzo.
Graviano, quando si confida in carcere con Adinolfi sulla sua partecipazione al Costanzo Show, dice quindi la verità anche se è impreciso. Al Fatto risulta che la sera in cui furono scattate le fotografie sul palco c’era un altro ospite importante, non Falcone.
Quello che ha stupito di più gli investigatori è stato individuare tra i mafiosi che assistevano al Costanzo Show anche l’uomo che allora era un promettente astro in ascesa della mafia trapanese e oggi, secondo alcuni osservatori, potrebbe essere il vero erede di Totò Riina. Matteo Messina Denaro in persona era salito a Roma nei primi mesi del 1992 per partecipare ai sopralluoghi per uccidere Maurizio Costanzo, oltreché Giovanni Falcone, allora passato a lavorare al ministero della Giustizia con il ministro Claudio Martelli, anche lui nel mirino.
Già nelle precedenti indagini era stata trovata traccia del suo passaggio nella Capitale. Per esempio erano attribuiti a lui gli acquisti di costosi vestiti in uno dei negozi più esclusivi della Capitale: Edy Monetti. Quel che non si sapeva è che Matteo Messina Denaro, insieme a Graviano, era stato al Costanzo Show nel 1992 per studiare il suo obiettivo. L’attentato fu poi rinviato per più di un anno. Nel marzo del 1992, il commando tornò in Sicilia e cominciò a dedicarsi alle stragi nell’isola. L’attentato contro Costanzo però era ormai organizzato. L’esplosivo era stato trasportato e bisognava solo aggiornare le conoscenze con qualche appostamento, rubare l’auto, imbottirla con il tritolo e schiacciare il telecomando. Il 13 maggio ci fu il primo tentativo, fallito. Poi il 14 maggio il grande botto.
Maurizio Costanzo sentito dal Fatto, commenta: “Apprendo da lei che ci sono foto di Graviano e Messina Denaro e certo mi colpisce. Sapevo che mi avevano seguito quando andavo a visitare il ministro dell’Interno allora in carica, Vincenzo Scotti, ma poi avevano desistito dall’attentato perché sotto la sua casa c’era la camionetta dei carabinieri. Però non le nascondo che immaginare Messina Denaro tra il pubblico mi fa impressione”.