Eurocrati

Ieri è cominciata la guerra: Ue e Fmi contro i gialloverdi

A tenaglia - I vicepresidenti della Commissione intimano all’Italia di rispettare i vincoli di bilancio: serve nuova austerità. Il Fmi: riforme o l’anno prossimo sono guai

16 Maggio 2018

L’establishment europeo e angloamericano ieri si è tolto i guanti. La rispettosa attesa delle dinamiche politiche italiane è finita e si è passati agli ordini espliciti in stereofonia tra Commissione Ue e Fondo monetario internazionale anticipati da un sobrio editoriale del Financial Times secondo cui nei palazzi romani ci sono ormai “i nuovi barbari”. Un modo per influenzare il dibattito e anche per saggiare la consistenza dei “barbari” di cui sopra: alla fine entrambi, Luigi Di Maio con un ritardo che irrita inizialmente i leghisti, rispondono a tono.

Riassume Claudio Borghi, responsabile economico della Lega: “Se questa avventura parte è chiaro che parte in un ambiente ostile, che non avremo alleati”, quindi “devi essere sicuro che devi poter stare spalla a spalla” e deve essere altrettanto chiaro “che i trattati Ue vanno ridiscussi”.

E qui si passa al merito, perché la guerra di posizione tra istituzioni europee e “nuovi barbari” si muove su due differenti fronti: su uno si combatte davvero (il bilancio), sull’altro si fa solo finta (l’immigrazione). Breve promemoria su quest’ultimo: da luglio scorso in Italia non c’è alcuna emergenza sbarchi (nel 2018, a ieri, erano 10.660, -76,7% sul 2017) e al prossimo esecutivo basterà mantenere – e sviluppare se del caso – la politica del ministro dem Marco Minniti per tenere sotto controllo il fenomeno; quanto ai rimpatri di immigrati illegali presenti in Italia, se il prossimo esecutivo vuole aumentarli può farlo quando vuole nel rispetto delle leggi e degli accordi bilaterali coi Paesi di provenienza; la riforma del Trattato di Dublino infine, almeno quanto all’abolizione del “principio del primo approdo” (chi tocca il rifugiato se lo tiene), ha il sostegno unanime del Parlamento italiano, persino dei residui “piùeuropeisti” di Emma Bonino. Altre cose – come i respingimenti in mare – non si possono fare, almeno non nella forma, già dichiarata illegale ai tempi del secondo governo Berlusconi, a cui sembra pensare la Lega.

Eppure è sul fronte immigrazione, più sensibile elettoralmente, che s’è acceso inizialmente lo scontro pubblico: “Spero che il nuovo governo non cambi linea sulla politica migratoria”, ha detto il commissario Ue alla migrazione Dimitris Avramopoulos. Replica di Salvini: “Dall’Europa ennesima inaccettabile interferenza di non eletti. Noi abbiamo accolto e mantenuto anche troppo, ora è il momento della legalità, della sicurezza e dei respingimenti”.

Il minuetto diventa invece sparatoria sui conti pubblici. A indicare la retta via all’Italia sono i due vicepresidenti della Commissione Ue. Prima il lettone Valdis Dombrovskis: “È molto chiaro che nell’attuale periodo di crescita economica l’Italia deve mettere il suo debito su una traiettoria discendente”; d’altronde “questo è l’approccio del presidente Mattarella”. Poi il finlandese Jyrki Katainen: “Le regole del patto di stabilità e crescita si applicano a tutti gli Stati membri” e “non ho percepito alcun segnale particolare da parte di uno Stato membro o della Commissione in merito alla concessione di eccezioni speciali”, quindi “ho tutte le ragioni per credere che l’Italia continuerà a rispettare i suoi impegni”.

Non fosse chiaro, il resto del programma lo detta Washington: il Fmi prima cita “le incertezze politiche legate a nuovi governi eletti in importanti paesi europei” come fattore di rischio, poi ricorda che con la fine del Quantitative easing si tornerà a ballare “in assenza di aggiustamenti di bilancio e di riforme strutturali per migliorare la produttività”.

Insomma, tagliare tutto quel che si muove – spesa pubblica, stipendi, residui diritti del lavoro – come negli ultimi sette anni. E, soprattutto, rendere impossibile per Lega e 5 Stelle mantenere anche solo parte degli impegni presi coi loro elettori: entrambi i programmi, infatti, presuppongono un livello di deficit pubblico uguale o superiore a quello attuale (poco sotto il 3% del Pil, il vincolo di Maastricht, mentre oggi l’asticella è fissata al pareggio di bilancio entro il 2020).

Come detto, il M5S ci mette un po’ a reagire. Di Maio lo fa solo nel tardo pomeriggio: “Abbiamo attacchi continui, anche oggi da qualche eurocrate non eletto da nessuno. Io più vedo questi attacchi, più sono motivato”. Parole assai simili a quelle di Salvini e che sono un amo lanciato proprio al leader leghista. Tra i due, in particolare su questo tema, resta però la diffidenza: il livello dello scontro è altissimo e senza garanzie sulle battaglie comuni a (o contro) Bruxelles la Lega potrebbe sfilarsi subito.

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