La nuova campagna elettorale – stavolta a scadenza ravvicinata – porta la data di questo fine settimana: da qui al weekend, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, dovranno convincere i rispettivi elettori che nessuno dei due, in questa partita, ha dovuto rinunciare a troppe cose. Poi, saliti al Quirinale, potranno annunciare il frutto dell’accordo. Che, sulle vorticose montagne russe di queste ore, ieri sera si fermava così: ai Cinque Stelle la premiership, alla Lega i ministeri pesanti.
Le hanno provate tutte, le combinazioni: il terzo uomo, la staffetta, le seconde file. Ma la conclusione più plausibile a cui si continua a tornare è che a palazzo Chigi debba andare un “politico” vero, e quindi Luigi Di Maio. Non è chiuso, l’accordo. C’è una lunga lista di nomi fatti uscire per essere bruciati (ieri, perfino quello di Emilio Carelli), ci sono le dicerie alimentate dagli incontri in “località segreta”. Ma l’ipotesi del “terzo uomo”, assicurano, è tramontata. E al momento, la carta più accreditata per la guida del governo gialloverde resta quella del capo politico dei Cinque Stelle: gradito al Quirinale, fidato garante del patto sul programma, abbondantemente disposto a cedere sui temi cari alle camicie verdi.
Quali siano, lo ha elencato ieri Matteo Salvini, a mezzogiorno. Camicia blu sbottonata sul collo, giacca blu, spilletta di Alberto da Giussano sul bavero, il leghista ha parlato per un quarto d’ora in diretta su Facebook: “Io premier? Sarebbe l’onore più grande del mondo. Ma se avessi la certezza, anche non da premier, di fare molte cose utili per voi, mi metto in gioco e se serve faccio un passo di lato”. È lì che il capo del Carroccio ha buttato giù la lista delle cose a cui non è disposto a rinunciare. La prima, il ministero dell’Interno: “Un leghista al Viminale – dice Salvini – sarebbe un garante della difesa dei confini e una garanzia per i rimpatri. Se parte un governo dimezzeremo i centri di accoglienza per mettere più soldi sulle espulsioni”. La seconda, l’Agricoltura: “Su questa materia e sulla pesca l’impegno della Lega è sacro, e anche qua mi piacerebbe un uomo o una donna della Lega che si occupino direttamente di questo settore”. Poi c’è il Lavoro: “L’emergenza è l’occupazione, per questo mi piacerebbe che se questo governo nascerà la Lega si occupi di quello per cui siamo nati, al di là dell’autonomia: del lavoro, dei servizi sociali, del futuro”.
Le condizioni sono chiare. E nel Movimento lasciano intendere che si possono accettare tranquillamente. Anzi, se davvero arrivasse il via libera a Di Maio, si potrebbe dare anche qualcosa in più. Il problema è che Salvini “cambia idea ogni due minuti”. Per questo restano in ballo anche altri nomi politici, che i Cinque Stelle tengono in pista nell’ipotesi che il leader della Lega rimetta tutto in discussione. Più di Bonafede l’alternativa potrebbe essere Riccardo Fraccaro. “Si tratta a oltranza su premiership e squadra di governo”, dicono fonti dei Cinque Stelle a tarda sera. In ballo c’è ancora il ministero dell’Economia che, stando alle prime indiscrezioni, dovrebbe andare a M5S.
In compenso, sul programma l’accordo è fatto. Tra baci, abbracci e un applauso collettivo si è dato il via libera alle quaranta pagine, frutto di una settimana di lavoro. Restano aperte alcune questioni – a cominciare dalla posizione da tenere sulla Tav – che verranno decise negli incontri a due tra Di Maio e Salvini. È molto probabile che il nuovo vertice si tenga già stamattina. Poi, da domani, si va in piazza, prima del voto su Rousseau e ai gazebo leghisti. Di Maio ieri ha suonato la carica: “Non ci facciamo intimorire da qualche euro-monito. Spieghiamo ai nostri concittadini cosa sta accadendo”.