I compromessi raggiunti da Lega e Cinque Stelle su temi come immigrazione, giustizia, conflitto d’interessi e costi della politica rischiano di essere vanificati da un dettaglio: l’intero pacchetto di misure economiche annunciate è privo di coperture. O meglio, nelle bozze del contratto di coalizione circolate finora non è indicata alcuna fonte di finanziamento.
Entrambi i partiti sono d’accordo sul finanziare alcune proposte in deficit, cioè con l’emissione di nuovo debito. Il senatore leghista Armando Siri parla di 24 miliardi di deficit aggiuntivo, circa la differenza tra il deficit nominale previsto per il 2018 (1,6 per cento del Pil) e la soglia obiettivo fissata dal Trattato di Maastricht, 3 per cento. Primo problema: non è quello il vincolo più stringente, dal 2012 l’obiettivo da raggiungere è il pareggio di bilancio strutturale (cioè tenendo conto del ciclo economico). L’Italia è inadempiente e la Commissione europea già ci contesta di non aver ridotto il deficit strutturale quanto promesso, cosa che richiederebbe una manovra correttiva da 5 miliardi.
Secondo problema: anche ignorando la Commissione, i 24 miliardi basterebbero appena per un paio delle misure nel programma. Fermare l’aumento dell’Iva che scatterà a gennaio 2019 richiede 12,5 miliardi il prossimo anno e 19,5 nel 2020. Il reddito di cittadinanza, voluto dai Cinque Stelle, ha un costo stimato di 17 miliardi più 2 miliardi per la riforma dei centri per l’impiego. Questi costi sono viziati da un errore che i Cinque Stelle ripetono da cinque anni: l’Istat stima un costo di 15 miliardi perché attribuisce un reddito fittizio ai proprietari di casa pari all’affitto risparmiato, così da equiparare inquilini e proprietari a basso reddito. Ma la proposta di legge dei Cinque Stelle non fa questa distinzione: o si cambia la proposta, e molte persone prenderanno meno del sussidio massimo pari a 780 euro, o i costi salgono a 30 miliardi.
La Lega ha messo nel programma una “quasi-flat tax”: due aliquote per i redditi delle persone fisiche, 15 per cento fino a 80 mila euro annui e 20 per cento sopra, e 15 per cento per le imprese. Soltanto la riforma dell’Irpef per le persone fisiche, stimano Massimo Baldini e Leonzio Rizzo su LaVoce.info, genera un mancato gettito di 50 miliardi il primo anno. Si può usare il deficit anche per finanziare questa riforma? Sì e no. Se si decide di violare ogni vincolo europeo, con le conseguenze inevitabili in termini di aumento dei tassi di interessi sul debito e sanzioni della Commissione, tutto è possibile. Ma la scommessa della flat tax è di stimolare l’economia e i consumi grazie ai risparmi per i contribuenti (concentrati nella parte alta del ceto medio, le famiglie con reddito annuo sopra gli 80.000 euro). Se però quei soldi in più derivano da un deficit e non da coperture vere, il contribuente avrà sempre il dubbio che presto o tardi gli verranno chiesti indietro con nuove tasse. Sulla carta si può tagliare la spesa o si possono mettere nuove tasse (intervenire su detrazioni e deduzioni, le cosiddette tax expenditures che i Cinque Stelle vogliono toccare significa questo). Ma il contratto di coalizione non chiarisce nulla su questo. L’Ufficio parlamentare di bilancio, l’autorità indipendente sui conti pubblici, ha chiarito già a febbraio che la strada è stretta: la spesa sanitaria non può scendere senza cali sensibili della qualità del servizio, ridurre ancora gli investimenti in calo dal 2010 (che Lega e M5S vogliono aumentare) danneggerebbe la crescita, intervenire sulla spesa corrente – i famosi acquisti di beni e servizi della Pubblica amministrazione – consente limature, ma non tagli drastici e comunque non in tempi rapidi. Si potrebbe ridurre il personale dello Stato, sia pure con grande fatica, ma Lega e Cinque Stelle promettono invece nuove assunzioni a migliaia.
La bozza di contratto parla di finanziare gli interventi “attraverso il recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi, la gestione del debito e un appropriato ricorso al deficit”. Come si possa usare il debito per generare risorse è un mistero. L’unico modo sembra essere non rimborsandolo, o rinegoziando le condizioni di rimborso per spostare le scadenze. Ma questo equivale a una bancarotta mascherata dello Stato sul modello della Grecia. C’è poi l’ennesimo condono fiscale per chi ha contenziosi con Equitalia dovuti a “situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica”. Ma visto che c’è una misura analoga ogni anno da anni, sarà difficile recuperare cifre considerevoli. E comunque è una copertura una tantum.