Il terzo nome c’è. È l’uomo (o la donna) che può tenere insieme Lega e Cinque Stelle, la persona che può rispondere al requisito principe chiesto dal Quirinale: avere il peso e la competenza per potersi sedere al tavolo europeo con Merkel e Macron. Ecco, al settantacinquesimo giorno di trattative, giurano, l’hanno trovata. Sulla sua identità, vige il massimo riserbo. Luigi Di Maio annuncia da Aosta che “a breve” ci saranno notizie. E che il prescelto sarà “un amico o un’amica del popolo”. Fuori dall’ufficialità, trapela solo un indizio: sarà un premier Cinque Stelle, ma non siede in Parlamento. Sulla carta risponde al curriculum di Giuseppe Conte, che il Movimento immaginava ministro alla Pubblica amministrazione. Ma è solo una suggestione, probabilmente già bruciata, e nemmeno all’altezza delle richieste del Quirinale.
L’obiettivo è quello di tenere la carta coperta fino a lunedì quando, comunque vada, l’intensa telenovela grilloleghista finirà davvero. Il capo dello Stato ha dimostrato una pazienza infinita, da arbitro magnanimo, ritenuto persino, a torto o a ragione, una sorta di tutore di uno dei due leader populisti all’opera, quello grillino.
Cosa accadrà dunque lunedì 21 al Quirinale? In base alle valutazioni del capo dello Stato non ci saranno innanzitutto nuove consultazioni. L’ipotesi era tenuta in conto per sondare ufficialmente le altre due forze del centrodestra sul governo gialloverde. A partire da Forza Italia e dal riabilitato Silvio Berlusconi. Ma le ultime evoluzioni, al limite della rottura, tra Lega e azzurri hanno già chiarito il quadro, rendendo superfluo ogni “supplemento d’indagine”. A questo punto Sergio Mattarella riserverà, come lunedì scorso, uno “spazio” ai partiti destinati a essere alleati. In pratica, altri due colloqui: uno con la delegazione del M5S guidata da Luigi Di Maio, l’altro con quella della Lega di Matteo Salvini. E anche se il contratto è stato definito, il presidente della Repubblica inizierà la sua ricognizione finale dal padre di tutti i nodi di questa estenuante trattativa: il fatidico nome del presidente del Consiglio.
Se davvero, come assicurano, l’accordo è stato trovato, i due leader comunicheranno al Colle l’intesa.
Ovviamente Mattarella non deve dare suggerimenti che potrebbero essere considerati di parte, ma Di Maio e Salvini non potranno imporre un nome secco, senza discussione, per fargli ottenere l’incarico. Questo perché, giova ricordarlo, è l’articolo 92 che dà al Quirinale il potere di nomina di premier e ministri, come specificato una settimana fa dallo stesso presidente nel suo discorso di Dogliani, per l’anniversario del giuramento di Luigi Einaudi da capo dello Stato. Ma, certo, molto dipenderà da chi si cela dietro questo “amico o amica del popolo”. L’azione “preventiva” sul potere di nomina del premier, finora, è stata rivolta in particolar modo all’ipotesi, per nulla convincente, di un nome “terzo” proveniente dalle seconde se non terze file del M5S. Già durante la settimana la girandola di voci sui vari Fraccaro, Bonafede e Carelli è stata accolta al Colle con grandissimo scetticismo.
La Lega, nei giorni scorsi, ha perfino lanciato il nome di Vito Crimi. Ma nel Movimento sanno che tutti riceverebbero un garbato ma glaciale “no”. La ragione è tutta politica. Il Colle sta affrontando una crisi del tutto inedita in 70 anni di Repubblica. E il Rosatellum gli ha consegnato un partito, il M5S, arrivato primo con la logica proporzionale, e una coalizione, il centrodestra, che invece rivendica il primato in base a un criterio maggioritario. Per di più, non avendo un baricentro di Sistema (né il Pd, né Forza Italia), il capo dello Stato ha svolto un paziente lavoro maieutico per “estrarre” dai risultati del 4 marzo “un governo politico”.
Premesso questo, “un’alleanza tra due forze rivali in campagna elettorale” deve offrire “solide garanzie politiche” nella figura di colui che guiderà il governo. Insomma, il Colle punta a un premier forte. E Luigi Di Maio, ora, gli promette che lo avrà.
Sa, Di Maio, che al Colle ritengono che sia lui – capo del Movimento più legittimato dal consenso popolare – il profilo più indicato. Ma sa anche che sarebbe un boccone troppo amaro da far digerire all’alleato. Le agende dei due, al momento, non prevedono incontri, né oggi né domani. Segno ulteriore che i nodi più importanti sono stati sciolti. Dal premier poi discenderà il programma. Al di là dei contratti, per Mattarella farà fede solo il documento che l’eventuale premier leggerà in Parlamento per ottenere la fiducia.