L’Europa è il suo sogno proibito e il suo più grande incubo. L’Unione non lo ama, ma non per questo Recep Tayyip Erdogan si arrende. Tre paesi membri gli hanno vietato di far campagna elettorale sul proprio territorio. Allora il Sultano ha organizzato un comizio in quell’Europa che non è ancora Unione. “La Turchia non lascerà mai sola la Bosnia sulla strada delle integrazioni euroatlantiche – ha detto Erdogan dopo un incontro con Bakir Izebegovic, attuale presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca – e non ha mai avuto ‘intenzioni nascoste’ nei confronti della Bosnia se non la prosperità del Paese in particolare sul piano dell’economia”.
Dichiarazioni che suonano grossomodo così: “Se l’Ue non vi vuole ci siamo noi e abbiamo intenzione di investire qui”. La Bosnia Herzegovina ha fatto richiesta di adesione all’Ue, ma ci potrebbe volere oltre un decennio prima che Sarajevo entri a far parte del club di Bruxelles. Intanto Erdogan investe e costruisce. Tra le promesse del presidente turco, reiterate nel bilaterale con Izebegovic, c’è persino la costruzione de “l’autostrada della pace” tra Sarajevo e Belgrado.
Ieri quasi 20mila turchi hanno accolto Erdogan nella capitale bosniaca. Bandiere rosse, con luna e stella, e foto del Sultano hanno tappezzato lo Zetra, il palazzetto olimpico di Sarajevo. “Siamo pronti a tutto per lui, anche a morire se ce lo chiederò”, ripete un cittadino turco, residente a Colonia, arrivato in Bosnia in autobus, 28 ore di viaggio. Dopo il tentato golpe del luglio 2016 il culto del presidente è cresciuto a dismisura. Cavalcando questo sentimento, nella primavera del 2017, un referendum molto controverso ha trasformato la Turchia in una Repubblica presidenziale, con un capo di Stato dai poteri quasi illimitati. L’assetto del Paese non sarebbe dovuto cambiare fino alle elezioni previste nel novembre 2019. Erdogan non ha potuto aspettare, le ha anticipate di 18 mesi, fissando le consultazioni per il prossimo 24 giugno. Oggi la forbice tra Akp, il partito del Sultano, e l’opposizione si sta stringendo. Erdogan, per assicurarsi la rielezione, ha bisogno dei voti della diaspora turca. Sono circa 3milioni gli aventi diritto al voto che risiedono all’estero, di questi oltre 1,4milioni vivono in Germania. Ieri dal palco ha parlato anche a loro.
“Non si è piegato alla cancelliera Angela Merkel – ha spiegato un manifestante bosniaco alla tv pubblica – è un musulmano, un esempio per il suo Paese e per il nostro”. Sin dagli anni ’90, quando il Sultano era solo il sindaco di Istanbul, la Turchia ha giocato un ruolo di primo piano nella ricostruzione post bellica. E non solo in Bosnia. Se l’Arabia Saudita, e quindi il wahabismo, ha aumentato la sua influenza in medioriente, la finanza islamica ottomana ha sostenuto le comunità balcaniche. Oggi camminando per Tirana come Pristina o Sarajevo i minareti più alti delle moschee sono longilinei e decorati come da tradizione turca.