L’isteria con cui la stampa “democratica” e i principali responsabili dello sfascio italiano replicano al “contratto del governo del cambiamento” è forse più sconfortante del futuro governo. Appelli alla difesa democratica dello Stato, indignazione per soluzioni tecnico-politiche tanto risibili quanto innocue e, soprattutto, il ricorso all’Europa come baluardo ultimo alla calata dei “nuovi barbari”. Con simili premesse il consenso all’alleanza leghista-pentastellata non farà che crescere. Dietro lo scandalo non c’è solo un istinto ormai incistato nelle élite italiane, c’è anche l’ipotesi di costruire, contro il governo nascente, una coalizione liberale ed europeista che guarda a Macron come faro e che cercherà di affermarsi anche come risposta alla crisi del Pd. Auguri a chi ci proverà.
Per chi mantiene un orientamento di sinistra, la posizione non può essere quella e non può nemmeno basarsi su una chiamata alle armi contro “i nuovi fascismi”, se non altro perché non troverebbe ascolto. Quel programma ha un consenso sociale fortissimo, la maggior parte dei suoi punti potrebbe essere sottoscritto da forze ambientaliste e progressiste. Sposarsi alla flat tax e, soprattutto, alla propaganda anti-immigrati della Lega disegna ovviamente un profilo inquietante e basta dunque a decidere che di un tale governo non si può essere sostenitori.
Un punto di vista di sinistra che voglia mettersi all’opposizione di questo governo, oltre a tener conto di questi elementi, deve prima definire se stesso. L’unico punto di vista di sinistra possibile, ancora oggi, è pensare la società come una realtà attraversata da faglie, da clivages, che danno luogo a conflitti: c’è chi sta da una parte e chi dall’altra. Lega e Cinque stelle hanno scommesso, vincendo, su una faglia tra “l’alto” e il “basso”, tra il popolo e le élite, raffigurando in queste le classi dirigenti italiane ed europee degli ultimi trent’anni. Nel popolo ci sono un po’ tutti, soprattutto una classe media impoverita, frustrata e rancorosa, ma anche fette consistenti del mondo del lavoro dipendente, giovani precari, insegnanti, funzionari dello Stato. Un punto di vista di sinistra può invece considerare ancora valida la divisione tra il lavoro da una parte, nelle sue molteplici sfaccettature (dai riders ai super-precari) e chi possiede capitali, produttivi e finanziari, e governa l’andamento del mondo. Per quanto si insista da decenni sul superamento di questa suddivisione la dura realtà conferma che quella faglia è ancora attiva.
Anche perché la sostituzione del clivage destra/sinistra con quello alto/basso, per quanto non debba indurre a disprezzare quest’ultimo, ha prodotto finora un risultato negativo: la rabbia sociale si è scaricata sul vicino più prossimo, quasi sempre il migrante, o il rom, il povero, spessissimo le donne, vittime di una violenza inestirpata.
Un punto di vista di sinistra che voglia affrontare seriamente il governo nascituro dovrà affrontare di petto il programma double face del possibile governo con la sua componente liberista come la “dual flat tax”, che propone un futuro dell’Italia da paradiso fiscale e misure sociali come il Reddito di cittadinanza, la riforma della legge Fornero, il deficit spending come strategia, la Banca pubblica, politiche per l’ambiente, la scuola, l’acqua pubblica. A tenere insieme le due componenti, oltre a una tattica spregiudicata, soccorre una congiuntura inedita, una delega speciale al “nuovo” contro il “vecchio”, che fa sperare in un cambiamento possibile.
La stessa che premiò Renzi nel 2014. Se però è vero che nell’alleanza convivono una componente liberista e una più sociale, la contraddizione verrà fuori ed è su quella che si può scommettere. Anche perché, l’alleanza e il compromesso definito, ha finora messo da parte una parola chiave: la solidarietà. Intesa come “concetto costitutivo della Repubblica” (Stefano Rodotà), come connessione paritaria tra uguali, e non come atto paternalistico del governo di turno, nel programma la solidarietà non c’è. Anzi, nelle misure contro i migranti, contro i rom, contro le povere madri migranti escluse dagli asili nido (cosa c’è di più feroce?) viene riabilitato il suo contrario.
Il punto di vista che una qualche sinistra dovrebbe assumere è esattamente quello della solidarietà: di classe, tra i generi, tra le etnie, come elemento costituito di un’alterità. Che non cristallizzi il governo nascituro sotto etichette generiche come “fascismo” o “sovranismo”, ma lo misuri a partire dai propri valori e dai propri obiettivi. Anche un governo di sinistra, se fosse tale, dovrebbe varare un programma da 100 miliardi di recupero sociale, non è su questo che Salvini e Di Maio vanno criticati.
Il punto è che a pagare questi 100 miliardi dovrebbero essere quelli che in dieci anni di crisi si sono arricchiti e di miliardi ne hanno guadagnati mille. Non è un caso che nel programma venga esclusa la patrimoniale. E non dovrebbero esistere capri espiatori che richiamano alla logica degli anni 30 del Novecento. Il “loro” e il “noi” dovrebbe essere ribaltato. E nel “noi”, a differenza che nel passato, non ci sono improbabili partiti mai nati o già morti, ma solo una “sinistra di società” che ancora non si riconosce in quanto tale ma che dovrebbe cominciare a farlo.