Se gli si dà del tecnico la prende male, dicono, eppure non avrebbe sfigurato nel governo di Mario Monti. Giuseppe Conte, l’uomo indicato da Lega e M5S come presidente del Consiglio, è uno sconosciuto ma non è certo un quisque de populo, né la cuoca di Lenin: Luigi Di Maio lo aveva indicato come ministro della Funzione pubblica prima del voto, ora – Mattarella permettendo – si ritroverà a Palazzo Chigi con due scomodi dante causa seduti accanto a lui.
Avvocato e giurista, il professor Conte ha il curriculum per essere gradito in ogni circolo di ottimati: laurea in Italia e specializzazione in prestigiose università estere; buon percorso accademico che lo ha portato nel 2012 alla cattedra dell’Università di Firenze in Diritto privato; si sprecano le presenze negli organi professionali, nell’editoria e nei convegni di settore, ma non mancano nemmeno le nomine all’interno di commissioni di studio governative.
E poi c’è la libera professione, esercitata prima in un grande studio come quello noto come “Gop” (Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & partners, il terzo in Italia per fatturato) e, dal 2002, in quello fondato col suo maestro all’università Guido Alpa “dedicandosi al diritto civile, societario e fallimentare”: esperienza che negli anni lo ha messo in contatto con un pezzo non irrilevante del capitalismo italiano tanto privato che pubblico. Non deve sorprendere, insomma, non solo il rapporto con l’università di Confindustria Luiss, ma neanche la sua nomina nella “Commissione Cultura” dell’associazione degli industriali.
Fin qui il curriculum, ma chi è Giuseppe Conte? Classe 1964, nato in un paesino del Foggiano e inurbato in quel di Roma, si sa che è un uomo riservato, che la frase del suo profilo Whatsapp è di Kennedy (“ogni risultato inizia dalla decisione di provare”), che è un uomo elegante e ha una debolezza per il ciuffo “debortoliano” che gli ricade sulla fronte, che ha una ex moglie e un figlio, che in gioventù ha vissuto a San Giovanni Rotondo e andava spesso al santuario di Padre Pio. Ecco, il suo cattolicesimo è una caratteristica del prof. avv. Giuseppe Conte finora rimasta nell’ombra. E non solo il cattolicesimo della fede, ma – se ci è consentito parafrasare Fortebraccio – anche quello delle sagrestie, nel senso che il (forse) prossimo premier ha ottimi rapporti anche con le gerarchie vaticane: nel suo ateneo di Firenze gira la voce (non confermata) che sia soprannumerario dell’Opus dei, di certo però – lui stesso cita l’incarico nel suo curriculum – dal 1992 cura per il Collegio universitario “Villa Nazareth” di Roma “scambi e relazioni culturali con le università straniere, in particolare americane”; non a caso è membro nel cda del Cardinal Tardini Charitable Trust con sede a Pittsburgh. Il segretario di Stato di Giovanni XXIII, Domenico Tardini, fu infatti il fondatore di “Villa Nazareth”, oggi guidata dal cardinale Silvestrini: è lì, dicono in Vaticano, che Conte strinse un legame che ancora dura con l’attuale segretario di Stato, Pietro Parolin, direttore del convitto tra il 1996 e il 2000.
I rapporti “politici” di Conte, invece, sono avvolti nel mistero. Lui stesso ha detto di aver votato in passato “a sinistra” e gli sono state accreditate iniziali, quanto presto abbandonate simpatie renziane: che conosca la collega avvocato Maria Elena Boschi lo dice Silvia Fregolent, deputata Pd vicina alla ex ministra (“Firenze non è Manhattan”). Il rapporto coi 5 Stelle, invece, deriva da un altro avvocato basato a Firenze, Alfonso Bonafede, uomo di fiducia di Di Maio che aspira alla poltrona di Guardasigilli: “Quando il M5S nel 2013 mi propose di indicarmi nel Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa – ha raccontato Conte a marzo – fui molto chiaro e gli dissi: ‘Non vi ho votato e non posso considerarmi un vostro simpatizzante’. Mi risposero che era meglio così. In questi anni non ho mai ricevuto una telefonata e così ho avuto modo di apprezzare la buona volontà di questi ragazzi”.
È grazie a quella poltrona, peraltro, che l’avv. prof. (forse) premier ha presieduto la commissione speciale del Consiglio di Stato che ha destituito dalla magistratura Francesco Bellomo, il consigliere di Palazzo Spada che imponeva un dress code alle allieve dei suoi corsi. Sempre da lì, Conte ha tentato invano di sbarrare la strada alla nomina di Antonella Manzione al Consiglio di Stato (“non offre garanzie di comprovata competenza”): per i distratti, è la (inesperta) capo dei vigili di Firenze che Matteo Renzi volle a capo del legislativo di Palazzo Chigi e che poi Boschi, con la quale i rapporti non furono mai buoni, riuscì a spedire ai vertici della magistratura amministrativa.
Eccolo, Conte. Un tecnico dal carattere mite e poco incline alle luci della ribalta, ben incistato dentro l’eterno potere italiano, che ora dovrà fingersi capo di un governo politico (e, peraltro, di un governo anti-establishment): l’avv. prof. (forse) premier è il primo equivoco della Terza Repubblica fondata, finora a chiacchiere, da Di Maio.