Alla fine lo storico incarico al Signor Nessuno alias Giuseppe Conte, non eletto ma Amico del Popolo, arriverà. A fatica, ma arriverà. Tra domani e giovedì. Non oggi, però.
Al termine del secondo giro di consultazioni riservato solamente alle delegazioni dei “due vincitori”, M5S e Lega, il capo dello Stato ha scelto infatti di concedersi e concedere ai due leader gialloverdi un breve supplemento di riflessione.
È questo il primo esito dei colloqui di ieri pomeriggio al Quirinale, dopo ottanta giorni di stallo e trattative. Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il primo alle 17 e 30, il secondo alle 18, hanno finalmente posto fine al tormentone del nome presidente del Consiglio e lo hanno comunicato al capo dello Stato. Il quale a sua volta lo ha incassato con molta “preoccupazione”. È noto che Sergio Mattarella avrebbe preferito una soluzione diversa, di differente spessore politico (a cominciare dallo stesso Di Maio, candidato premier grillino in campagna elettorale) ma in quindici giorni l’infinita mediazione grilloleghista non è andata oltre lo sconosciuto Conte. E questo accentua i timori del presidente della Repubblica.
Di qui la decisione di vedere oggi i presidenti delle Camere: non solo un atto di rispetto istituzionale dal momento che sia Casellati (Senato) sia Fico (Camera) sono stati esploratori per conto del Colle, ma anche un gesto esplicito per coinvolgerli nella scelta che farà. In pratica una sorte di filiera costituzionale che porterà domani all’incarico di Conte.
In questo breve lasso di tempo, Mattarella vorrebbe che Di Maio e Salvini riflettessero sulle due questioni da lui introdotte ieri.
Innanzitutto l’allarme sui conti pubblici e sui risparmi dei cittadini scattato all’indomani dei primissimi nomi circolati per il governo. Ed è per questo che al presidente non sono piaciute le dichiarazioni leghiste su Mps oppure l’indicazione dell’anziano Paolo Savona al ministero dell’Economia, un’indicazione ritenuta “estrema” e non rassicurante anche per l’Unione europea e i mercati internazionali.
E il nodo Savona, molto caro alla Lega, e di cui comunque ieri non si è parlato, potrebbe diventare un caso spinoso e concreto alla luce della seconda questione sollevata da Mattarella: il carattere non secondario, diciamo pure così, della figura del presidente del Consiglio.
A entrambi, Di Maio e Salvini, ha tenuto una lezione di diritto costituzionale per ribadire che il premier non deve essere “un burattino” manovrato da loro. Dall’articolo 95 della Carta: “Il presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”.
Non quindi un passacarte dei ministri o un semplice esecutore, visto che come ha detto Di Maio all’uscita “il vero leader è il programma”. Alla diarchia gialloverde deve essere chiaro che dopo l’incarico sarà l’Amico del Popolo Giuseppe Conte “l’unico interlocutore” del Quirinale. E Mattarella parlerà solo con lui della squadra dei ministri e di tutti i dubbi in merito (Savona ma anche la casella della Difesa), non con Di Maio e Salvini.
Il premier non deve essere una “marionetta”. Appunto. Anche perché, al netto dei toni trionfalistici dei due vincitori all’uscita, durante l’incontro con Salvini al Colle è maturata la sensazione che la Lega sia un po’ “spaventata” dal compito che si trova di fronte.