Previsioni economiche “dettate a braccio”, ipotesi “azzardate”, mancato rispetto per “i risparmiatori”. Sono alcuni dei passaggi con cui il giudice di Milano descrive il reato di aggiotaggio per il quale Paolo Savona, “candidato” al ministero dell’Economia, fu mandato a giudizio. Era il novembre 2009. Il reato, secondo la Procura, fu compiuto quando Savona era presidente di Impregilo, in concorso con l’allora amministratore delegato Piergiorgio Romiti.
Per loro il giudice dispose l’imputazione coatta. Pochi mesi dopo il reato viene estinto per prescrizione. Cosa resta allora di quella vicenda? Per capirla è utile sfogliare la sentenza con cui il gip di Milano, Enrico Manzi, sempre nel 2009, proscioglie Impregilo dall’aver avuto una responsabilità “negli illeciti commessi dai suoi vertici”. Il giudice, spiegando come Impregilo si sia adeguata per tempo ai dettami della legge 231 che regola la responsabilità amministrativa delle società, mette in fila una serie di considerazioni molto gravi sull’operato di Savona. Al centro ci sono false comunicazioni al mercato e alla Consob. La vicenda riguarda, in parte, “la liquidazione della controllata Imprepar e i riflessi di tale operazione rispetto agli effetti economici sulla capogruppo”. Su questo pesano due comunicati di febbraio e marzo 2003 fatti dai due vertici di Impregilo. Qui si legge, scrive il gip, “che il bilancio di Imprepar, già in liquidazione, si sarebbe chiuso in pareggio”. Entrambe le note “erano false in quanto contenenti una stima di pareggio del bilancio di liquidazione contrastante con le stime del liquidatore”. Ma non solo: vengono “falsati” anche i crediti della società che passano da “466 milioni” ai 497 comunicati alla Consob da Savona. “Da notare poi – scrive il giudice – la sopravvalutazione dei crediti verso lo Stato iracheno: 120 milioni nel 2003, mentre l’anno precedente, causa embargo, la posta era stata valutata solo 60 milioni”. Risultato: “Le previsioni rese al mercato erano veramente basate su ipotesi azzardate”. E che i dati non fossero attendibili, lo dimostra un carteggio tra Savona e un dirigente di Borsa italiana, dopo che la stessa ha chiesto delucidazioni per una comunicazione fatta dall’ad che parlava di “una crescita del 15% sui ricavi”. Scrive Savona: “La realtà è che noi lavoriamo con l’unico operatore di mercato, lo Stato, che può permettersi il lusso di violare i contratti e pagare quando vuole. Nonostante ciò ce lo teniamo stretto, ma i nostri ricavi sono ballerini”. Conclude il giudice: “La vicenda dimostra che gli uffici interni di Impregilo erano esclusi da una effettiva partecipazione alla elaborazione dei dati da fornire all’esterno, essendo questi rimessi alla discrezione dei vertici i quali diffondevano previsioni a braccio con il chiaro intento di fornire al mercato una immagine più favorevole del gruppo”.
In via generale, si legge in sentenza, il modo di operare di Savona (e Romiti) “è assolutamente censurabile”. Inoltre “si è in presenza di un metodo di formazione della contabilità e delle informazioni esterne affidato alla pura e semplice convenienza di immagine”. Tanto che “l’informazione esterna non tiene conto del vero dato: lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un desiderio e non di un riscontro oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenza verso i risparmiatori”.