Aquesto punto, da qui a domani, domenica 27, le soluzioni sono due. O il governo Conte parte con Giancarlo Giorgetti all’Economia, o comunque con un altro leghista “politico” in questa fondamentale casella. Oppure il premier incaricato, sempre domani, se non oggi, potrebbe rimettere clamorosamente il mandato. Ipotesi terze non ce ne sono, allo stato.
Sempre che stavolta il capo dello Stato mantenga la sua posizione sino alla fine. La questione è quella che si trascina da domenica scorsa, precedente all’incarico arrivato mercoledì per il professore avvocato indicato dal M5S per Palazzo Chigi. Il Colle non vuole l’ottantenne Paolo Savona in via XX Settembre, sede del Mef. La nuova crisi di questo stallo infinito è maturata alle sei di ieri sera. A quell’ora, Conte è salito al Quirinale per un colloquio informale con Sergio Mattarella. L’ennesimo strappo (o innovazione) della prassi costituzionale. Sinora non era mai accaduto. Sul tavolo c’è l’intera lista dei ministri, ma oggetto della discussione sono soprattutto le quattro indicazioni “pesanti” su cui da tempo il capo dello Stato aveva fatto sapere di volere garanzie. Interno, Esteri, Difesa, Economia. Nell’ordine: Matteo Salvini; l’ambasciatore Luca Giansanti; la “militare” Elisabetta Trenta, grillina, alla Difesa; il famigerato Savona all’Economia.
Quando il presidente ha visto il nome di Savona ha comunicato subito il suo no. Secco. Ha visto svanire la speranza che Conte potesse arrivare con una lista senza il nome dell’economista che spaventa l’establishment con un piano B per uscire dall’euro. Mattarella ha confidato invano nel professore senza storia politica, conosciuto appena pochi giorni prima, al momento dell’incarico. Per sostenerlo, giovedì, ha pure diramato una nota ufficiosa per ribadire, contro i diktat salviniani su Savona, l’autonomia non solo del capo dello Stato ma anche del presidente del Consiglio sulla scelta e sulla nomina dei ministri.
Nulla da fare.
E così il povero Conte è rimasto stritolato nello scontro tra Colle e i due alleati vincitori, Di Maio e Salvini, che sono rimasti uniti senza dividersi. Un’altra delusione per il presidente della Repubblica, che ha tentato di convincere il capo dei grillini a non morire per Savona.
Dopo l’incontro informale con Conte, il Quirinale tramite i suoi consiglieri ha imposto un “riserbo assoluto”, a conferma della gravità della situazione. Se infatti le cose fossero andate diversamente, in senso positivo, oggi il premier incaricato avrebbe consegnato ufficialmente la lista, per poi forse giurare, con l’intero governo, nel pomeriggio. Non solo. Altri due dettagli completano la scena tragica di ieri.
Mattarella avrebbe chiesto anche di parlare con Salvini, fanno filtrare dalla Lega, ma per tutta risposta il leader leghista è tornato a Milano per il compleanno della figlia. Il secondo particolare, invece, fa a salire a due le perplessità sulla lista presentata da Conte. Oltre a Savona, ci sono stati seri dubbi sulla designazione dell’ambasciatore Luca Giansanti agli Esteri, considerata troppo “debole”. Un’erta salita, dunque, quella del Colle per il povero Conte. Arrivato a Borse chiuse, con lo spread in rialzo e Piazza Affari in calo, con una importante sofferenza dei “bancari”.
Cosa accadrà nelle prossime quarantott’ore? Il primo indizio è riconducibile a una sensazione formatasi da giorni al Quirinale e che ieri è diventata quasi una certezza. Si tratta innanzitutto di un interrogativo che rimbalza ossessivamente, ormai.
“Perché Salvini vuole a tutti i costi Savona e non indica Giorgetti? Per lui non sarebbe mica una sconfitta”. Appunto.
La risposta non può essere che una. Forse la Lega vuole tirarsi fuori all’ultimo minuto e per farlo usa come scudo il nome di Savona. E il banco salterebbe per la paura di governare più che per un calcolo politico di convenienze. Al Colle hanno colto questi timori già lunedì scorso, nel secondo giro delle consultazioni riservate solo a M5S e Lega. In ogni caso, quest’ultima crisi è diventata una sfida tra Mattarella e Salvini. E se salta tutto, ritorna in pista l’esecutivo neutrale del presidente per andare al voto anticipato in autunno.