Tanti si sono interrogati sulla ben calcolata astuzia di Donald Trump, quando ha annunciato che avrebbe spostato l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Primo risultato una immensa popolarità presso gli israeliani e gli ebrei del mondo, secondo risultato, la fondazione di un legame saldissimo con il Leader israeliano che ha governato finora più a lungo e promette di governare ancora a lungo. Terzo uno schiaffo agli arabi in quanto islamici e dunque nemici adesso e per sempre del Paese di Trump, che comunque non vuole stranieri e non cristiani in casa.
Strana la questione dei cristiani, che hanno festeggiato e gioito molto di più dell’ebraismo della Diaspora per il finto dono di Trump a Israele. In molti fra gli ebrei del mondo, legati come sono alla salvezza di Israele, hanno visto subito nel gesto della ambasciata americana a Gerusalemme una iniziativa che aumenta il pericolo di guerra per e contro Israele. Ma non aggiunge nulla a Gerusalemme, che ha già vinto la sua guerra (la guerra dei Sei Giorni) e liberato la propria capitale, e non aspetta più niente da nessuno, neppure da Trump. Infatti non è Trump che ha restituito Gerusalemme al nuovo Paese ebraico ma quei ragazzi appena diventati cittadini di Israele che ho visto, nel 1967, abbattere a forza di braccia i cancelli della porta di Mandelbaum che separava la parte allora in mano ai Giordani.
Trump ha dunque fatto un gesto clamoroso e pericoloso che può giovare solo a lui stesso.
Ora però, mentre scrivo, mi accorgo di avere trascurato una frase che forse è la chiave di un altro discorso. Ricordate? Ho appena scritto: “I cristiani hanno festeggiato e gioito molto di più dell’Ebraismo della Diaspora”. Per capire di quali cristiani sto parlando, bisogna chiamare sulla scena un personaggio dall’apparenza grigia, secondaria e poco notata, il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence. Voi credete che un personaggio, che sembra così marcatamente secondario, venga scelto solo perché qualcuno ne ha messo il curriculum su un tavolo della Casa, e bisognava alla fine trovare qualcuno che fosse compatibile, per mitezza e tendenza al silenzio, dell’esuberante presidente degli Stati Uniti?
Molti conoscitori dell’argomento e delle persone, vi dicono che Trump non ha idee o interesse su Gerusalemme, dove (forse) come unico segno del suo passaggio in quel luogo mai visto di storia plurimillenaria, costruirà una Trump Tower. Ma il vice presidente Pence invece sapeva molto. Perché è un personaggio di punta della vasta coalizione di Cristiani evangelici e pentacostali che hanno spostato improvvisamente e inaspettatamente il voto da Hillary Clinton a Trump. Sono quegli elettori misteriosi e semi-segreti che una sociologia disorientata ha poi travestito da operai abbandonati nelle fabbriche arrugginite o come parte delusa di una classe media emarginata.
Pence adesso può dire che si tratta di born again di “nuovi cristiani” frutto di conversioni multiple e clamorose opere di reclutamento di pastori elettronici dotati di un potere che quasi nessun ha più in politica. Qui devo chiedere attenzione ai lettori per le parole e la definizione dei cristiani di Pence di cui sto parlando. Sono grandi gruppi religioso-politici (destra ed estrema destra) che definiscono se stessi evangelici e pentacostali, autori, in altri tempi e contesti, anche di azioni armate (per esempio uccidendo medici abortisti).
È importante spiegare che essi non hanno nulla a che vedere con il protestantesimo italiano ed europeo che spesso si definisce con le stesse parole. Ma hanno molto a che vedere con l’ebraismo in senso segretamente persecutorio. Da seguaci estremi di una Bibbia pietrificata dalla fede letterale nelle parole, credono che la fine degli ebrei, dopo il grande confronto armato fra il bene e il male, porterà al ritorno del Messia e alla salvezza del vero popolo di Israele, che sono i cristiani. E questo spiega perché Mike Pence, grigio vicepresidente degli Stati Uniti, non passava per caso davanti alla Casa Bianca, quando lo hanno scelto. Viene in mente che qualcuno deve averlo mandato.
Ma allora, quando accade che Matteo Salvini e Luigi Di Maio, tormentati dal grave problema di non potersi tollerare a vicenda, aprono la porta per andare in cerca del personaggio giusto per stare insieme senza appartenere, uno che ama la loro patria, ma non ne ha la cittadinanza e non la vuole (strana richiesta, ma comunque la loro richiesta), pensate davvero che il perfetto candidato avv. prof. Giuseppe Conte, passasse di lì per caso, portando con se le buone referenze necessarie (a parte qualche errore di curriculum) per ricevere l’incarico?
Tutto è in aria, mentre scrivo. Ma dovete ammettere che le domande sono sensate e che la storia (e l’analogia fra le due storie) è interessante.