La trattativa finale. Oggi pomeriggio, ultima domenica di maggio. Come assicurano fonti grilline, il professore Giuseppe Conte dovrebbe salire in taxi al Colle per riferire ufficialmente sul suo incarico. Stavolta con la lista completa dei ministri, dopo il colloquio informale di venerdì.
Ancora una volta, nella bozza del premier incaricato c’è il nome di Paolo Savona nella cruciale casella del ministero dell’Economia. Su un fronte il capo dello Stato, contrario. Sull’altro Matteo Salvini e Luigi Di Maio che non deflettono.
In mezzo lo stesso Conte, che però oggi sale “rinforzato” dalla telefonata del presidente francese Macron, un modo per aumentare la pressione sul capo dello Stato e rassicurarlo allo stesso tempo. Anche se al Colle, l’iniziativa del cugino transalpino potrebbe essere stata giudicata irrituale perché Conte non è premier, ma solo “incaricato”.
Al Quirinale, però, alle otto di ieri sera non risultava ancora nulla di “un appuntamento chiesto da Conte”. Lassù, per il secondo giorno consecutivo, c’è stato il riserbo più assoluto. Quello che trapela dà conto di un presidente che non si smuove, che non intende fare alcun passo indietro su Savona.
Non è una questione politica. Ma costituzionale, secondo le tesi del Colle. In gioco c’è l’enorme sostanza dell’articolo 92 della Carta: il potere di nomina dei ministri su indicazione del presidente del Consiglio. In caso di sì a Savona (il “diktat” di Salvini evocato dalla nota ufficiosa di giovedì) a giudizio del Quirinale si verificherebbe un grave vulnus alle prerogative del capo dello Stato nonché un’inedita crisi istituzionale. E Mattarella non vuol passare alla storia per aver inferto questa ferita alla Carta. Senza dimenticare poi il merito della questione: nominare cioè un economista che ha elaborato nei suoi studi devastanti piani di uscita dall’euro. E certo non ha fatto bene alla causa di Savona l’endorsement del controverso Steve Bannon, l’ex stratega di Trump intervistato da Maria Latella per Sky.
Ecco perché su tutto questo non dovrebbe esserci “mediazione” per il Colle. Semmai è il premier Conte che deve convincere Salvini (e Di Maio) a tenere fuori Savona. Di qui le ore tragiche che si stanno vivendo al Quirinale ché Mattarella ha fatto di tutto per dare un governo al Paese ed evitare il voto anticipato, ma a questo punto non sembra esserci altra strada.
Il percorso è quello tratteggiato il 7 maggio scorso. Non un governo del presidente in senso stretto, ma un esecutivo neutrale in grado di accompagnare il Paese alle urne, a partire dal prossimo autunno.
In questa fase inedita della storia repubblicana c’è infine un altro dettaglio che illumina la scena. La solitudine del presidente, che non ha un partito di riferimento, di solito quello di provenienza. Cioè, un baricentro su cui appoggiarsi. Non era mai successo prima. Il Pd è evaporato – mai pervenuto, per usare la definizione del Quirinale – e Mattarella naviga solitario senza sponde. E adesso si trova a un bivio drammatico. Da una parte un eventuale cedimento su Savona con le relative conseguenze costituzionali ed europee. Dall’altro, l’orizzonte delle elezioni anticipate, destinate probabilmente a dare una vittoria ancora più forte al blocco populista.
È la scelta finale, che sarà valutata e presa a partire dal momento in cui Conte ritornerà al Quirinale. A più di ottanta giorni dalle elezioni, lo stallo ha avuto un crescendo impressionante: crisi politica, crisi di sistema, sblocco dopo la minaccia del voto anticipato, trattative tra M5S e Lega, caso Savona. Adesso l’epilogo, tra la crisi istituzionale e una legislatura da interrompere.